Embriotransfer
Allo scopo di ridurre al massimo la possibilità di gravidanze gemellari, l’équipe medica agisce secondo le indicazioni del Practice Committee of the Society for Assisted Reproductive Technology e del Practice Committee of the American Society for Reproductive Medicine (Fertil Steril 2013;99:44-6). In base a tali prescrizioni si suggerisce – generalmente – di trasferire 2 embrioni nelle pazienti di età inferiore a 38 anni con buona prognosi; in condizioni particolari potrà essere proposto il trasferimento di 1 solo embrione.
Il trasferimento avviene in una sala dedicata, integrata nel laboratorio di embriologia al fine di garantire il massimo delle precauzioni ambientali (temperatura, umidità, luce, tossici ambientali) che sono necessarie affinchè l’impianto dei singoli embrioni conservi il massimo del suo potenziale. Viene impiegato un sottile catetere che – sotto controllo ecografico transaddominale – deposita gli embrioni nella cavità uterina. Si tratta di un procedimento assolutamente indolore che non necessita quindi di anestesia alcuna.
Al momento del trasferimento embrionario viene dedicata una particolare attenzione e cura, ritenendo che lo stesso sia un passaggio molto importante dell’intera procedura.
Terapia di supporto della fase luteale
Le terapie di procreazione medica assistita comportano la necessità di sostenere la fase luteale (quella successiva, cioè, al prelievo degli ovociti e al trasferimento degli embrioni).
Nei cicli stimolati, difatti, la fase luteale è certamente deficitaria e deve essere sostenuta a livello farmacologico, per garantire una condizione ottimale dell’endometrio a favorire l’impianto e lo sviluppo della gravidanza.
La fase luteale viene supportata, a partire dal giorno del prelievo degli ovociti, con progesterone naturale intravaginale o intramuscolare.
Tale supporto deve essere mantenuto sino al dosaggio delle bHCG che indica la presenza o l’assenza di un impianto e – in caso di esito positivo – sino ad almeno 8 settimane di gestazione, venendo quindi sospesa in modo graduale.
Dopo 12-14 giorni dal transfer è possibile, mediante un semplice esame del sangue, dosare le beta-HCG (Gonadotropina Corionica Umana) e verificare quindi l’inizio della gravidanza.
Dopo circa 21 giorni dal transfer, è possibile evidenziare a livello ecografico la camera gestazionale in utero.
In circa l’1-2% dei casi, è possibile che venga deciso di non procedere a trasferire gli embrioni e che si proceda invece alla loro crioconservazione.
La sospensione del trasferimento viene decisa al fine di circoscrivere i rischi per la paziente e per la gestazione, ed è prevalentemente collegata al rischio di iperstimolazione ovarica o alle rare complicanze correlate al prelievo ovocitario.
Qualora – dopo il primo tentativo – non si verifichi una gravidanza, verranno valutate le varie fasi della procedura e decise eventuali modifiche della terapia e/o del tipo di procedura. Alla presenza di una normale risposta al trattamento, di un recupero di un numero adeguato di ovociti e di una valida percentuale di fertilizzazione e divisione, verrà consigliato di reiterare la procedura con modalità analoghe al ciclo precedente.
Per le tecniche di assistenza riproduttiva viene sempre considerato un ciclo di trattamenti e non il tentativo singolo. Questo perché – dopo un mese di rapporti liberi – anche una coppia giovane e fertile non ha più del 20% di probabilità di concepire. Tramite le tecniche di assistenza riproduttiva, si supera un ostacolo al concepimento senza poter sostanzialmente modificare il potenziale di fertilità. Un eventuale insuccesso della metodica, pertanto, è valutabile solo dopo almeno 4 tentativi giunti al transfer. Nei primi 4 tentativi si concentrano oltre il 50% delle gravidanze, sebbene la percentuale di gravidanza non sia significativamente diversa nei primi 6 cicli di trattamento.