Prostatectomia radicale

Prostatectomia radicale

Per prostatectomia radicale si intende l’asportazione chirurgica (retro pubica, perineale, trans coccigea, laparoscopica o robot-assistita) della prostata, delle vescicole seminali e la successiva anastomosi tra uretra e vescica. Inoltre, l’intervento prevede (se non eseguito per via perineale) l’asportazione dei linfonodi loco regionali (iliaco-otturatori) che risultano essere i primi filtri della malattia. Di norma, dovrebbe essere sottoposto a trattamento chirurgico un individuo con malattia clinicamente localizzata con aspettativa di vita minima di 10 anni e buone condizioni generali. Come indicato nelle linee guida AURO (Associazione Urologi Italiani) un “rigido criterio di età probabilmente non è più accettabile alla luce anche del prolungamento della vita media”. Oltre alle linee standard, recentemente sono stati presentati alcuni studi che confermano l’appropriatezza alla radicalità chirurgica in caso di pazienti giovani con malattia localmente avanzata.

L’asportazione della prostata può essere attuata attraverso vari accessi e metodi. Le tecniche più utilizzate riguardano la chirurgia con accesso retro pubico o perineale e quella laparoscopica con o senza ausilio del robot. L’obiettivo è quello di rimuovere la prostata con tutto il tumore e, se del caso, anche i linfonodi loco regionali. L’indicazione ad asportare la ghiandola, però, vale solo per i pazienti che, alla diagnosi, non hanno certezza di metastasi a distanza. In caso di sicure metastasi a distanza è più opportuno un trattamento medico della malattia, evitando gli effetti collaterali dell’intervento chirurigico.

In Humanitas l’accesso retro pubico viene attuato mediante un’incisione di circa 10-12 cm su una linea mediana passante tra il pube e l’ombelico. In anestesia generale lo specialista rimuove prima i linfonodi iliaco otturatori e, in base al rischio di metastatizzazione e all’età del paziente, decide se inviarli immediatamente all’anatomo-patologo, per poter conoscere se il tumore interessa i linfonodi o meno e decidere di conseguenza. Qualora vi siano le condizioni per asportare la prostata secondo tali modalità, sempre tenendo in considerazione anche la gravità della malattia e l’età del paziente, salvare i nervi erigendi che passano lateralmente alla ghiandola e portare a termine una chirurgia “nerve sparing”. Tale opportunità è assolutamente eseguibile anche con le altre tecniche operatorie. Lo specialista procederà ad isolare la prostata malata dalla vescica e dall’uretra e la rimuoverà in blocco, comprese le vescicole seminali.  Si procederà poi a suturare l’uretra alla vescica, previo posizionamento di un catetere che sarà rimosso mediamente dopo 5-15 giorni.

L’intervento dura in media 90-120 minuti, in base alle dimensioni della prostata e delle caratteristiche della malattia e del paziente.

Decorso post-operatorio

Una volta concluso l’intervento, il paziente resterà in ospedale per un periodo minimo di 3 giorni. La dimissione avverrà, qualora le condizioni cliniche lo consentano, con il catetere vescicale che sarà rimosso, previa cistografia (esame radiografico attraverso il quale è possibile verificare la corretta cicatrizzazione tra il moncone uretrale e la vescica), dopo altri 3-7 giorni. I punti di sutura metallici della ferita addominale saranno rimossi dopo 7-8 giorni dall’intervento, mentre i drenaggi dopo 24-72 ore.

Effetti collaterali

Come ogni intervento chirurgico importante o procedura medica in generale, la prostatectomia radicale nelle sue varie tecniche può comportare rischi ed eventuali complicanze anche permanenti.

Il tasso di mortalità perioperatoria è pari a circa l’1-4%, mentre la mortalità operatoria è inferiore allo 0,5% (4).

In breve, è possibile suddividere le complicanze in base al periodo di insorgenza e sviluppo come segue:

– intraoperatorie

– precoci (fino a 30 giorni dall’intervento)

– a distanza (dopo 30 giorni dall’intervento).

Complicanze intraoperatorie

  • emorragie con rischio di trasfusione 4%
  • lesioni rettali, rischio 0,1-0,2%
  • lesioni al nervo otturatorio, rischio 0,1%
  • lesioni uretrali rischio, 0,1-4%

Complicanze precoci

  • trombo embolie 0,7-2,6%
  • cardiovascolari 0,4-1,4%
  • infezioni della ferita 0,9-1,3%
  • linforrea e linfocele 0,6-2%
  • stenosi dell’anastomosi uretrovescicale 0,6-32% deicasi.

(fonte: linee guida AURO)

Complicazioni a distanza

  • Incontinenza fecale: rarissima e solo in caso di prostatectomia per via perineale.
  • Incontinenza urinaria: dopo la rimozione del catetere vescicale è frequente un periodo di incontinenza urinaria. Tale fenomeno si risolve nel 95-96% dei pazienti (linee guida AURO). Il periodo necessario alla risoluzione del problema varia da alcunigiorni ad alcunimesi e attualmente non è prevedibile con nessuna delle tecniche chirurgiche descritte. Nei casi in cui l’incontinenza risulti persistente sarà necessario intervenire in altri modi. Le possibilità a disposizione del paziente riguardano terapie mediche, riabilitative o chirurgiche e possono essere indicate singolarmente o in progressione in base al grado di incontinenza, all’età del paziente e del tipo di malattia di base. Sinteticamente sono a disposizione:

-fisiochinesiterapia riabilitativa perineale;

-sostanze che introdotte attraverso l’uretra sono in grado di amplificare l’attività sfinterica risolvere l’incontinenza;

– sling, ossia banderelle di materiale biocompatibile che poste a cavallo dell’uretra riducono il grado di incontinenza;

– sfintere artificiale, ovvero un meccanismo biomedico combinato che funge da nuovo sfintere e può essere comandato dal paziente.

  • Disfunzione erettile: molto importanti sono la capacità erettile del paziente prima dell’intervento, l’età del paziente e la possibilità di eseguire una chirurgia radicale nerve-sparing (ossia con risparmio dei nervi durante la prostatectomia). Maggiore sarà l’età del paziente e peggiore la malattia e più raro sarà la capacità di riprendere erezioni spontanee. Esiste una variazione notevole per quanto riguarda il recupero della funzione erettile. Secondo i dati in letteratura il rischio va dal 9 all’86%. Tuttavia, nella fase post-operatoria sono disponibili farmaci (per via orale o intracavernosa) in grado di ripristinare parzialmente i casi le erezioni o ridurrei tempi di recupero. Qualora il paziente risulti motivato e la terapia medica abbia fallito, esiste la possibilità di impiantare una protesi peniena permanente.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate sono da intendersi come indicazioni generiche e non sostituiscono in alcuna maniera il parere dello specialista.