La primavera e i primi caldi sono vissuti con una certa apprensione da tutti coloro che soffrono di allergie. Se è vero infatti che certe forme allergiche, come quelle agli acari, sono presenti nell’arco dell’intero anno, è altrettanto vero che in questo periodo si scatenano le tipiche reazioni provocate da alcuni alberi – tra cui la betulla, il cipresso, l’ulivo… – cui fanno seguito quelle alle graminacee e, man mano, all’ambrosia, alla parietaria e a un po’ a tutte le fioriture.
L’impressione è che la diffusione di queste allergie si stia sempre più allargando. È davvero così? «La presenza di stati allergici si è in effetti molto sviluppata negli ultimi anni perché ci sono situazioni ambientali che sono andate sempre più peggiorando – risponde il dottor Renato Sambugaro, allergologo di Humanitas Medical Care di Bergamo –, e bisogna anche tener presente il fatto che essendo basata su elementi di familiarità, la condizione allergica viene tramandata da genitori allergici ai propri figli e questo meccanismo è destinato a provocare nel tempo un aumento esponenziale della diffusione».
Come si manifestano le allergie primaverili?
«Le allergie stagionali si presentano per lo più sotto forma di rinocongiuntiviti, che comportano in particolare prurito agli occhi, lacrimazione e naso che cola, ma c’è anche tutto lo spettro di allergie che creano problemi di asma e di problemi alla pelle dovuti a dermatiti da contatto. Non mancano poi le allergie alimentari, noi allergologi spesso abbiamo a che fare con reazioni incrociate alimenti/inalanti, sono tanti i pazienti che si rivolgono a noi denunciando problemi di questo tipo».
C’è un’età che risulta essere più sensibile alle allergie rispetto alle altre?
«Si comincia da molto piccoli: tutto inizia nei primi mesi di vita con la manifestazione della cosiddetta dermatite atopica che poi evolve secondo quella che viene chiamata “marcia allergica” e porta alla formazione di problemi cutanei, quindi dermatiti, eczemi che in seguito si possono trasformare in problemi respiratori ed evolvere anche fino all’asma. In genere chi è allergico da bambino lo rimane per tutta la vita, se si escludono alcune problematiche alimentari che sorgono in età pediatrica e che possono scomparire attorno agli 8-10 anni di età».
Come si può distinguere una semplice allergia da forme più complesse come la rinite o l’asma?
«Abbiamo a disposizione vari accertamenti, tra cui il primo e più semplice da eseguire è il prick test, che consiste nell’applicare sulla pelle alcune goccioline di sostanza allergenica che provocano la presenza di bollicine la cui dimensione è determinata dall’intensità della reazione. Un altro esame è il RAST – con le sue evoluzioni – che consiste nella ricerca delle immoglobuline specifiche nel sangue per i singoli allergeni, sia alimentari sia inalanti. L’obiettivo è individuare quanto prima possibile la malattia allergica, per evitare un suo peggioramento che può sfociare in episodi d’asma di varia gravità che possono a loro volta evolvere in broncopneumopatie croniche e quindi inevitabilmente in un deterioramento del tessuto polmonare».
Come si può cercare di evitare che la “marcia allergica” faccia il suo corso verso patologie più gravi?
«Ci sono due tipi di terapie. La più semplice è quella farmacologica, che è utilizzata in molti casi perché ha un effetto pressoché immediato. È molto efficace ma ha un limite: quando finisce il suo effetto sul paziente, bambino o adulto che sia, tutto torna come prima perché la cura non incide sulla storia naturale della malattia ma solo sulle sue manifestazioni. Cosa che invece può fare la seconda tipologia di intervento, che coincide con la terapia desensibilizzante».
Stiamo parlando della terapia sublinguale, in che cosa consiste?
«Consiste nell’assumere pastigliette con piccole dosi di allergeni, in modo tale da “abituare” l’organismo, facendole sciogliere sotto la lingua. È una terapia adatta soprattutto alle allergie che riguardano le vie respiratorie – quindi ad acari, graminacee, parietaria, ambrosia, cane, gatto, ecc. –, mentre su quelle alimentari non ha effetto, in quel caso l’unica terapia è l’esclusione dalla dieta dell’alimento che provoca la reazione allergica».
Con quale cadenza devono essere assunte le pastiglie sotto lingua?
«Dipende dal tipo di allergia. Nel caso di quella agli acari, la cura deve essere fatta nell’arco dell’intero anno, un paio di volte la settimana, perché l’allergia riguarda non questi animali microscopici vivi ma i loro detriti, che sono presenti sempre, in ogni stagione. Per quanto riguarda le graminacee, invece, si procede con una terapia di desensibilizzazione pre-costagionale, che viene cioè iniziata prima del periodo di fioritura e poi mantenuta durante la comparsa dei fiori con una cadenza di assunzione, in genere, stabilita nell’ordine delle tre volte alla settimana».
Queste terapie devono essere mantenute nell’arco dell’intera vita?
«No, la desensibilizzazione viene eseguita per massimo 3 o 4 anni. Numerosi studi hanno dimostrato che a prolungarla per altri anni non si ottengono ulteriori risultati. Dopo il ciclo di terapia il paziente ottiene una desensibilizzazione che permane per alcuni anni, in cui il paziente sta bene e non subisce gli effetti dell’allergia combattuta. Può capitare che in seguito ci sia una riaccensione della problematica, in quel caso poco male, si può tranquillamente ripetere la terapia».
Una terapia, dunque, che non incide solo sui sintomi…
«Esatto, è l’unica terapia in grado di modificare la storia naturale della malattia, perché la desensibilizzazione va a incidere sul corso della “marcia allergica”, interrompendola. Quindi non è come la terapia farmacologica, che va ad agire sul solo sintomo, è una vera e propria cura in grado di dare risultati che, anche se non definitivi, sono in grado di porre un forte freno all’evoluzione e al peggioramento clinico della forma allergica».
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