Come guarire la lombosciatalgia?

La lombosciatalgia è un dolore intenso (simile a un forte crampo) che interessa il tratto lombare della colonna vertebrale fino agli arti inferiori. È una condizione che può interferire in maniera importante nella qualità di vita del paziente e che deve essere trattata per evitare che possa peggiorare e portare a complicanze più gravi.

La lombosciatalgia è, quindi, una sintomatologia per cui il paziente avverte dolori sia in sede lombare che lungo il nervo sciatico, non infrequentemente fino al piede. Tale disturbo è normalmente monolaterale, ma può  estrinsecarsi bilateralmente. Essa può evidenziarsi sia come un dolore pressorio (di norma a livello della colonna lombare), sia come disturbo doloroso della sensibilità (bruciori, parestesie sotto forma di formicolii/spilli) lungo l’arto inferiore. A volte si aggiunge zoppia dovuta ai dolori alla/e gamba/e e/o a diminuzione di forza ad un gruppo di muscoli dell’arto inferiore. Quindi oltre all’alterazione della sensibilità (soggettiva od oggettiva) può coesistere un disturbo della motilità.

Ne abbiamo parlato con il dott. Vincenzo Della Corte, neurochirurgo presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Domodossola a Milano.

Quali sono le cause della lombosciatalgia?

Le cause principali della lombosciatalgia possono essere:

·  ernia del disco intervertebrale, ovvero la rottura parziale di un disco con fuoriuscita della sua porzione centrale (nucleo polposo) nel canale spinale, a diretto contatto con una o più radici nervose.

·  obesità

·  fumo

·  attività lavorative pesanti, in cui si effettuano sollevamenti di pesi e si mantengono posture scorrette per periodi prolungati (lavori fisicamente impegnativi), che incidono soprattutto sulla parte lombare della schiena

·  attività sportive che causano continui microtraumatismi

·  vita sedentaria (favorisce la riduzione del tono della muscolatura del dorso e dell’addome)

·  posture scorrette che accelerano il consumo degli elementi costitutivi della colonna vertebrale (malattia degenerativa)

Quali sono i sintomi della lombosciatalgia?

La lombosciatalgia è caratterizzata da un dolore intenso avvertito come una sensazione di bruciore o un forte crampo, dalla colonna lombare, al gluteo, fino alla coscia, alla gamba e al piede (può interessare uno o entrambi gli arti inferiori) che generalmente aumenta con i movimenti del busto, la posizione seduta, tosse e starnuti; alterazione della sensibilità cutanea, accompagnata da formicolio o sensazioni improvvise di caldo/freddo; deficit muscolari o disturbi sfinterici con incontinenza o ritenzione urinaria e/o fecale (casi rari).

Come può essere individuata la lombosciatalgia?

Per arrivare alla diagnosi di causa della lombosciatalgia, è necessario sottoporsi ad una visita specialistica, tramite la quale il medico esaminerà i sintomi riferiti dal paziente e richiede eventuali esami di accertamento, come una risonanza magnetica nucleare RMN LS, una TAC LS o, eventualmente ed in caso di paralisi dei muscoli, una elettromiografia degli arti inferiori.

Come si può curare la lombosciatalgia (e la lombocruralgia)?

Nella maggioranza dei casi, si può consigliare un breve periodo di riposo e l’assunzione di farmaci antinfiammatori non cortisonici, eventualmente consigliando l’uso di un corsetto semirigido durante la stazione eretta.

Qualora si evidenzino disturbi di forza agli arti inferiori o disturbi nel controllare gli sfinteri, si dovrà procedere, il più celermente possibile, ad una diagnosi anche neuroradiologica (quasi sempre eseguendo  una rmn lombo-sacrale).

Ottenuto il dischetto della risonanza, bisognerà verificare la corrispondenza fra alterazione radiologica e disturbo lamentato dal paziente ed eventuali deficit rilevati in corso di visita specialistica.

Qualora i disturbi algici persistano per 15-20 giorni o qualora si evidenzi una importante (anche media) diminuzione di forza ad un arto inferiore, sarà opportuno programmare un ciclo di terapia infiltrativa a livello della specifica radice nervosa clinicamente evidenziata in sede di visita neurochirurgica.

È da dire che, specie in caso di “semplice” protrusione discale o di restringimento (ad es. artrosico) del forame vertebrale da cui fuoriesce la radice nervosa incriminata o di ernia ancora (o quasi) contenuta, il ciclo di terapia infiltrativa dà, nella grande maggioranza dei casi, una sostanziale remissione dei sintomi soggettivi (dolori) ed, a volte, regressione dei lievi deficit di forza ai muscoli dell’arto inferiore. Le infiltrazioni “non” influiscono sul quadro anatomico della colonna, ma danno una regressione sensibile dell’edema (gonfiore) della specifica radice nervosa individuata come responsabile della sintomatologia in atto.

Nei casi in cui neanche questo trattamento, ancora conservativo, si concretizzi in un deciso e sostanziale beneficio, rimane indicato l’intervento chirurgico che, al giorno d’oggi, è preferibile eseguire con tecnica mininvasiva ed in anestesia locale con blanda sedazione (sedoanalgesia). Il vantaggio di tale tecnica, oltre a permettere la sedoanalgesia, consente di eseguire il trattamento chirurgico attraverso un’incisione cutanea inferiore ad un centimetro e di procedere verso il  campo operatorio per via smussa (cioè senza tagliare i tessuti (sottocutanei, muscolari, fascio-ligamentosi), ma divaricandoli solamente in modo che, a fine intervento, i predetti tessuti si riaccostino spontaneamente ed immediatamente. 

Tutto l’intervento avviene con l’ausilio di attrezzature “visive amplificative” che permettono al chirurgo la visione in profondità attraverso i tessuti del paziente che rimangono integri. Cioè, si vede il campo operatorio (dove bisogna materialmente agire liberando la radice nervosa, asportando la parte degenerata del disco, allargando il neuroforame…) attraverso il corpo dell’operato che rimane integro. È altresì possibile procedere con artrodesi dei corpi vertebrali cruentizzandoli e/o immettere, fra soma e soma, materiale di sintesi riassorbibile in modo che, esaurita la propria funzione, non abbia più ad essere “corpo estraneo” all’interno della colonna.

Dopo quanto si avvertono i primi benefici?

I primi benefici si rilevano quasi subito dopo l’intervento (qualche ora). 

Il trattamento è risolutivo? 

Sì, nella stragrande maggioranza dei casi, sul piano clinico. Sicuramente, si ha una ottima regressione delle algie ed una ripresa della forza, graduale ma costante, agli arti inferiori. L’evoluzione dei miglioramenti dipende, nella fasi successive, da vari fattori, tipo da quanto tempo durava il disturbo, se è insorto lentamente o con modalità iperacute, se coesistono altre morbilità, etc.

Di norma due giorni dopo l’intervento, l’operato viene dimesso e può riprendere uno stile di vita sedentario (può uscire da casa, deambulare normalmente, eventualmente fare esercizi di fisioterapia, svolgere una vita sociale nei limiti di norma…). Dopo un paio di settimane, il paziente torna a controllo ambulatoriale e, in tale circostanza, si fissano i successivi parametri comportamentali.

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