Almeno una volta nella vita ognuno di noi ha sperimentato la spiacevole situazione di avere una persona cara afflitta da un grave problema di salute o addirittura costretta a una lunga degenza in ospedale. In questi casi, il desiderio maggiore è quello di far sentire al malato la propria vicinanza, il proprio affetto, e di fornire conforto, ma spesso ci si sente imbarazzati e inadeguati, e non si sa bene quale comportamento adottare e quali parole usare per poter essere davvero d’aiuto a chi sta soffrendo.
Abbiamo chiesto consiglio alla dottoressa Emanuela Mencaglia, psicologa in Humanitas Cancer Center.
Per quale motivo alcuni hanno difficoltà a relazionarsi con un malato, anche se si tratta di una persona cara?
“Pur sapendo che la malattia e la morte sono parte integrante della nostra esistenza, cerchiamo di allontanarne il pensiero il più possibile, come se fosse tabù”, spiega la dottoressa. Le paure e i sentimenti che accompagnano questa situazione sono davvero tanti e di diverso genere: in particolare, non sentirsi capaci e adeguati o non voler essere coinvolti e, quindi, cercare un alibi per rimanere a distanza (soprattutto se il malato non è un parente stretto) e così via. L’emotività gioca un ruolo importante e l’impotenza di fronte a una situazione difficile da affrontare spinge la persona ad allontanarsi, a negare addirittura il problema vissuto dal malato, che invece ha bisogno di un appoggio morale per affrontare la situazione.
Quale deve essere, invece, l’atteggiamento giusto verso chi sta soffrendo?
“Una persona che voglia veramente aiutare un parente o un amico che soffre dovrebbe prima di tutto imparare a conoscere il proprio limite”, risponde la dottoressa. E aggiunge: “Partire dall’ascolto di se stessi e riconoscere le proprie emozioni, consentirà di essere autentici anche con chi ha bisogno di noi, di saper vedere le cose dal suo punto di vista e di comprendere meglio i suoi bisogni”.
Inoltre, occorre rendersi disponibili e capaci di aspettare che sia il paziente a “fare la prima mossa” e aprirsi a un ascolto attivo. È importante, quindi, essere onesti e sinceri: “se non siamo in grado di farci carico della situazione o il nostro desiderio di aiutare non nasce dall’affetto, è meglio rinunciare”, chiarisce la psicologa.
Quali difficoltà psicologiche ed emotive incontra una persona a cui viene diagnosticata una grave malattia?
“La prima difficoltà è l’accettazione del proprio stato. Nessuno è mai preparato a una diagnosi che potrebbe mettere in pericolo la propria vita e, quindi, la prima reazione è il rifiuto della realtà”, spiega la dottoressa Mencaglia. In questa fase, è molto importante la presenza di persone che aiutino a farsi carico della situazione e che, più che parlare, sappiano ascoltare o stimolare la persona malata a esprimere debolezze e paure. Raccomandare di “essere forti”, di “tenere duro”, di pensare positivo, in alcuni casi può aiutare a gestire il problema, ma non sempre ne garantisce la soluzione, perché avere paura è normale e umano. Un’esperienza del genere segna indelebilmente, “tant’è che spesso anche chi è guarito da anni è angosciato ogni volta che deve sottoporsi ai controlli di routine”, sottolinea la dottoressa.
Le persone malate spesso si trovano a dover “rivedere” i propri rapporti di amicizia. Infatti, in tale situazione alcuni dimostrano di non essere in grado di star vicino a chi soffre e questo per svariati motivi, ad esempio, perché non si fanno più vedere o perché dal loro atteggiamento traspare un interesse morboso o patetico.
“Infine, accade spesso che dopo la diagnosi il paziente tenda a colpevolizzarsi. Egli cerca di capire quale comportamento sbagliato sia stato la causa della malattia o quali situazioni esterne possano averla scatenata, perdendo così l’attenzione e l’energia per affrontare il problema e risolverlo”, conclude l’esperta.
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