Disturbi cognitivi: l’importanza della prevenzione precoce

Negli ultimi anni, l’aspettativa di vita è cresciuta molto grazie al progresso della scienza e alla disponibilità di migliori servizi sanitari, con un conseguente aumento della popolazione anziana. Poiché il rischio di disturbi cognitivi aumenta con l’età, si è reso sempre più necessario porre l’accento sull’importanza della prevenzione.

La prevenzione dei disturbi cognitivi viene affrontata in modo multidimensionale. È stato dimostrato che mantenere una dieta sana, fare esercizio fisico, dormire bene, ed essere mentalmente e socialmente attivi, permette di ridurre il rischio di sviluppare questi disturbi. In che modo?

Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Alessia Catania, neurologa presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care De Angeli a Milano.

Quali sono i fattori di rischio dei disturbi cognitivi?

I disturbi cognitivi aumentano in prevalenza con l’età. Oltre all’età, al sesso, e alla storia familiare, i principali fattori di rischio sono:

  • Diabete mellito​ 
  • Ipertensione in età adulta​ 
  • Obesità in età adulta​ 
  • Sedentarietà​ 
  • Depressione​ 
  • Fumo di sigaretta​ 
  • Scarsa scolarità​ 

Si stima che circa un terzo dei casi di malattia di Alzheimer nel mondo possano essere prevenuti agendo su questi sette fattori di rischio

Che ruolo gioca la prevenzione nei disturbi cognitivi? 

La prevenzione gioca quindi un ruolo essenziale nell’ambito specifico delle malattie cronico degenerative. Questo grazie alla presenza di alcune strategie di adattamento del nostro cervello ai cambiamenti cui inevitabilmente si va incontro con l’età. I nostri neuroni sono in origine più numerosi del necessario, e una riserva neuronale ampia, consente di rimpiazzare meglio le perdite – anche mediante la presenza di circuiti/connessioni ridondanti (che svolgono gli stessi compiti cognitivi).​​  

Il cervello, inoltre, si plasma in risposta a stimoli ambientali e cognitivi ed ha la possibilità di creare nuovi circuiti e nuove connessioni. In questo caso si parla di neuroplasticità, ovvero la capacità, anche da adulti, di rigenerare connessioni nervose e mantenere o rafforzare i nostri network sinaptici nel tempo.  

È su questo aspetto che agisce la prevenzione, aumentando la riserva funzionale del cervello e riducendo il rischio cardiovascolare, e di conseguenza la probabilità che si sviluppino malattie cronico-degenerative età correlate. 

Si calcola infatti che il rischio di demenza raddoppia ogni 5 anni sopra i 60 e che circa un individuo su 3-4 ne sia colpito sopra gli 80. La malattia di Alzheimer è di certo la forma più diffusa, in associazione alle forme vascolari e miste (degenerative e vascolari) in età più avanzata. Se si pensa che questo tipo di patologie costituisce ad oggi la causa maggiore di morbilità (con un impatto pesante sulla spesa sanitaria)​​, diventa sempre più urgente agire per tempo in ambito preventivo. 

Come si possono prevenire i disturbi cognitivi?   

Tra i fattori preventivi un ruolo chiave è giocato sicuramente dall’alimentazione e dalla salute del nostro ecosistema intestinale​​. 

Sono ormai omogenei i dati epidemiologici derivati da studi longitudinali, metanalisi e studi sperimentali, che confermano il ruolo preventivo di una dieta mediterranea nella neurodegenerazione e nella promozione della funzionalità sinaptica. ​​L’alimentazione è infatti grado di modulare tre meccanismi alla base dell’invecchiamento cerebrale:​​ il flusso ematico cerebrale, la produzione eccessiva di radicali liberi dell’ossigeno e la neuroinfiammazione.​​ 

Si tratta di ottimizzare il rapporto tra proteine animali e vegetali, introducendo maggiori quantità di queste ultime e prediligendo tra le prime quelle derivanti da pesce e uova, limitando carne e latticini, riducendo l’indice glicemico globale con cereali integrali e fibre in quantità adeguata, nell’ambito di una dieta variata e ricca in alimenti antiossidanti e antinfiammatori. ​​ 

E quando con l’alimentazione non è possibile garantirsi un adeguato apporto di micro e macronutrienti, o quando lo stile di vita lo renda necessario, è utile agire in modo individualizzato con specifici nutraceutici e integratori

Anche per quanto riguarda l’esercizio fisico è noto da tempo l’effetto benefico sulle funzioni cognitive, in parte indiretto attraverso una riduzione del rischio cardiovascolare, ma in parte anche diretto, dato che durante l’esercizio vengono secreti ormoni e molecole che modulano la trasmissione sinaptica, il metabolismo cerebrale e periferico, il flusso ematico cerebrale e la funzione neurotrasmettitoriale.​​ 

Non dimentichiamo che anche la gestione dello stress e l’igiene del sonno contribuiscono in modo sostanziale alla salute del nostro cervello. Lo stress cronico e l’insonnia sono noti per determinare disturbi neuroendocrini a lungo termine, primo tra tutti l’alterazione della secrezione dell’ormone dello stress, il cortisolo, che a sua volta ha un ruolo importantissimo nella modulazione della risposta immune e metabolica. 

È molto importante anche assicurarsi una buona riserva cognitiva, impegnandosi in attività intellettive che consentano di apprendere nuove abilità, circondandosi di adeguati stimoli ambientali e contesti sociali stimolanti; quello di riserva cognitiva è concetto attivo, perché può essere allenato nel corso dell’intera vita; gli individui con una riserva cognitiva più elevata utilizzano in maniera più efficiente e flessibile di strategie e risorse cognitive alternative, e ciò consente di ritardare nel tempo l’eventuale esordio clinico di malattia in presenza di processo patologico che ha già iniziato ad instaurarsi.​ 

Un ampio studio clinico denominato FINGER, iniziato in Finlandia e da poco allargato a livello internazionale, ha recentemente riprodotto su larga scala in individui a rischio, un approccio preventivo multidisciplinare per il decadimento cognitivo: si è in particolare focalizzata l’attenzione sulla gestione dei fattori di rischio metabolico e cardiovascolare, sul training cognitivo, sull’attenzione alla corretta alimentazione e sull’esercizio fisico adeguato al soggetto ed all’età. I ricercatori, già dopo soli 2 anni, sono stati in grado di documentare un complessivo miglioramento di alcune performance cognitive, fisiche ed esecutive ed un beneficio anche su parametri di salute metabolica e generale. 

Se queste strategie venissero applicate sulla popolazione generale, sarebbe possibile ridurre in modo netto la prevalenza di disturbi cognitivi correlati all’età nei prossimi anni. 

In definitiva, il decadimento cognitivo e la demenza sono situazioni cliniche complesse alle cui cause concorrono fattori genetici ed ambientali in modo variabile. ​​È quindi logico dedurne che qualsiasi approccio preventivo non può prescindere da questa complessità e deve prevedere azioni adeguate, multifattoriali ed individualizzate da instaurare precocemente e mantenere nel corso della vita intera.   

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Neurologia
Dr.ssa Alessia Catania
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