Disturbi del comportamento (3 – 13 anni), quali sono?

I disturbi del comportamento nei bambini tra i 3 e i 13 anni vengono considerati una delle maggiori cause di emarginazione infantile, nonostante ci sia più attenzione da parte di genitori e insegnanti. 

Questi disagi possono presentarsi ed esprimersi in diversi modi con aggressività, iperattività o impulsività, per fare solo qualche esempio e possono riguardare episodi isolati o perdurare nel tempo. 

Ne abbiamo parlato con il dottor Francesco Scimone, neurologo e pediatra, presso il centro Humanitas Medical Care Murat a Milano.

Quali sono i disturbi del comportamento nei bambini dai 3 ai 13 anni?

Tra disturbi del comportamento nei bambini in questa fascia d’età ci sono:

  • I comportamenti dirompenti (colpire, mordere o graffiare anziché usare i gesti interattivi e segnali emotivi per comunicare le intenzioni) sono un problema della prima infanzia e nell’età prescolare: i bambini si comportano in modo aggressivo e distruttivo facendo del male ad altre persone (appiccando fuochi, distruggendo le proprietà altrui o torturando animali senza provarne rimorso).

Nel bambino con un comportamento particolarmente dirompente ne risente sia linguaggio, sia la negoziazione (il bambino “non sente” ragioni), sia il gioco (utilizzato di solito per esprimere bisogni e sentimenti o per elaborare le contraddizioni che il bambino vive osservando l’ambiente). Questi bambini hanno difficoltà a risolvere i conflitti e imparare a posticipare la gratificazione (faccio una cosa che non mi piace perchè poi so che arriva il gelato).

  • Disturbi della condotta: I bambini non riescono ad elaborare i problemi, a selezionare degli obiettivi, generare possibili alternative, pensare alle conseguenze o a eventuali soluzioni.

Nei disturbi della condotta i bambini aggressivi, rispetto ai non aggressivi, prestano poca attenzione ai segnali esterni e tentano di interpretare il comportamento altrui selezionando gli aspetti più ostili, probabilmente come risultato di una necessità auto protettiva.

  • Rabbia: è una reazione ai problemi e agli eventi frustranti quotidiani. I bambini propensi ad atteggiamenti aggressivi, vanno sostenuti nel fronteggiare gli stimoli esterni e quelli interni che ne conseguono.
  • La componente interna (lo stato mentale affettivo del bambino) è multifattoriale e riguarda temperamento, deficit neuronale (il cervello ha avuto eventuali sofferenze cerebrali ad esempio durante il parto), modalità di attaccamento (legame materno infantile) e vulnerabilità biologica.
  • Manifestazioni comportamentali (quello che si vede): quando il comportamento di un bambino è distruttivo il problema può essere legato ai genitori che non sanno porre dei limiti e un contenimento adeguato. Un bambino molto vivace può facilmente esaurire un genitore che passa molto tempo da solo con lui. Alcuni genitori comprendono i segnali di piacere o di paura del bambino e vi rispondono con gesti reciproci appropriati (al sorriso con un sorriso, alla paura con delle rassicurazioni e così via). Altri genitori mostrano un volto quasi inespressivo quando il bambino inizia ad arrabbiarsi, a spingere o a mordere, altri si irrigidiscono o diventano eccessivamente punitivi, lasciando così il piccolo senza “risposte di regolazione sensoriale reciproca” ne limiti adeguati. Se l’ambiente circostante del bambino non fornisce né calore nei limiti fermi e coerenti, o se i limiti vengono imposti in modo incostante, arbitrari e punitivi, allora la ricerca di sensazioni del piccolo può assumere una qualità rabbiosa con azioni aggressive.

I fattori di rischio sono:

  • Biologico: il temperamento (caratteristiche innate del comportamento) è condizionato negativamente da un comportamento genitoriale inadeguato (con un bambino con un carattere forte, emotivo, irascibile, ci vuole un genitore che sia capace di avere polso di modulare la sua reattività).
  • Psicosociale: povertà, stress familiari, alcolismo, patologie familiari, depressione, personalità antisociale, conflitti coniugali.
  • Qualità genitoriale: modalità educative, disciplina troppo dura, abusivismo, scadente affettività, scarsa reciprocità e/o contingenza ai segnali del bambino, attaccamento insicuro/disorganizzato.

Modello psicopatologico: il genitore dà comandi che il bambino non percepisce come giusti e disobbedisce, allora il genitore insiste rafforzando la disobbedienza del bambino (dovrebbe invece persuaderlo con il ragionamento).  

Se il genitore non riesce a persuadere il bambino ad obbedire, rimane frustrato e lo  punisce. Se il bambino a questo punto obbedisce, da una parte rafforza il genitore, dall’altra si riempie di risentimento. Quando si arriva ad una continua situazione di  punizione del genitore e conseguente rabbia del bambino, diventa inefficace l’operazione educativa (soprattutto quando il bambino si rende conto che può sfidare il genitore anche di fronte a gravi minacce).

Modello evolutivo: le madri con comportamento incostante, imprevedibile, aggressivo, aumentano l’irritabilità del bambino con temperamento difficile. Di conseguenza anche la madre avrà maggiori difficoltà a prendersi cura del bambino. 

Difficoltà di mentalizzazione: il  bambino legge la mente degli altri, ne coglie i sentimenti e i pensieri e anche le intenzioni, costruendosi un’immagine del comportamento umano. Egli esplora la mente altrui e in particolare della propria madre. La funzione riflessiva, che fa parte della  mentalizzazione, consente al bambino di avere un’idea dei propri atteggiamenti, piani d’azione, intenzioni, bisogni, desideri, credenze. Ne consegue che difficoltà in questa funzione peggiora le modalità evolutive mentali del bambino.

I problemi comportamentali dei bambini non possono essere risolti solo da genitori o insegnanti. È molto importante rivolgersi ad uno specialista per studiare insieme il percorso e la terapia più adatta.

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