Intolleranza al lattosio, una patologia che viene da molto lontano

Pancia gonfia, dolori addominali, problemi di diarrea? Tra le cause di disturbi di questo tipo ci potrebbe essere l’intolleranza al lattosio, situazione che si verifica quando il nostro organismo non riesce a digerire questo zucchero presente nel latte di tutte le specie animali e in molti suoi derivati.

Ne parliamo con il dottor Roberto Noris, specialista di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva di Humanitas Castelli e di Humanitas Medical Care di Bergamo.

Dottor Noris, che cos’è l’intolleranza al lattosio?

«L’intolleranza al lattosio è la manifestazione clinica legata a una carenza di lattasi, enzima che normalmente viene prodotto all’interno dell’intestino tenue – a livello degli enterociti dell’orletto a spazzola intestinale – e che ha il compito di “digerire” il lattosio scindendolo in glucosio e in galattosio. La carenza di lattasi parziale o, in alcuni soggetti, completa, fa sì che il lattosio arrivi integro nel colon dove, non riuscendo a essere assorbito, fermenta producendo gas, distensione intestinale con possibili dolori addominali e richiamando liquidi con effetto lassativo e conseguente diarrea».

Quale origine ha questa intolleranza?

«I nostri progenitori, i famosi cacciatori/raccoglitori che vivevano in età preistorica, erano fortemente intolleranti al lattosio perché non faceva parte della loro alimentazione. In seguito il nostro rapporto con il lattosio si è evoluto – a partire da quando l’uomo ha cominciato ad allevare gli animali e a berne il latte – ma il nostro organismo non ha ancora raggiunto il livello di “adattamento totale” al suo consumo. In fondo non è passato così tanto tempo, si parla di un periodo evolutivo che va dai 7.500 ai 10mila anni. Tanto è vero che le poche popolazioni aborigene che ancora vivono sulla terra, composte da individui che sono ancora veri e propri cacciatori e raccoglitori, sono completamente intolleranti al latte e ai suoi derivati. In questa storia evolutiva, non tutto è uguale, e si è visto che Il consumo di latte e prodotti derivati è molto comune in Europa, e crea minori problemi specialmente nel Nord di questo continente. Ma in altre parti del mondo non è così».

Ma allora il latte materno?

«Per ragioni genetiche nei primi mesi di vita siamo in grado di digerire il lattosio, dopo di che perdiamo progressivamente la capacità di produrre la lattasi con regolarità e questa quindi va a diminuire nel tempo. Non dimentichiamoci che noi umani siamo l’unica specie animale che si ciba di latte nel corso della vita, per certi versi un’anomalia e una forzatura cui dobbiamo ancora del tutto adeguarci».

Come si può sospettare di essere intolleranti al lattosio? In quel caso come ci si deve comportare?

«I sintomi tipici della cattiva digestione del lattosio sono il gonfiore addominale, legato alla fermentazione, i dolori addominali e la diarrea. Alcune persone possono però soffrire anche di mal di testa, irritabilità e stanchezza. Raramente si riscontrano infine dolori muscolari o articolari. In presenza di questi sintomi è bene sottoporsi a una serie di esami per capire quale sia il problema di origine. Per la verifica dell’intolleranza al lattosio l’esame più eseguito e valido – e anche il più semplice da eseguire – è il breath test all’idrogeno».

E in presenza di una diagnosi di intolleranza al lattosio, che cosa si può fare?

«La soluzione ovvia sarebbe ridurre o non assumere lattosio. Da considerare, comunque, che non tutti i soggetti con deficit di lattasi sono sintomatici quando mangiano un alimento contenente lattosio. Questa apparente discrepanza fra fisiopatologia (attività lattasica e suo deficit) e clinica è ben comprensibile se si considera che il deficit di lattasi non è un fenomeno del tipo “tutto o nulla” bensì un fenomeno “scalare”. In altre parole esistono diversi gradi del deficit, per cui un soggetto affetto da deficit di lattasi può essere in grado di assumere e digerire senza sintomi 12 grammi di lattosio, ma non 20 grammi, mentre un altro soggetto può assumerne senza alcun disturbo 20 grammi, ma non 30. Inoltre ci sono molti alimenti delattosati. Un’altra soluzione può essere assumere enzimi digestivi integranti l’enzima – sotto forma di compresse o inseriti addirittura negli alimenti a base di latte – che aiutino a digerirlo».

Quali sono gli alimenti che pur essendo derivati dal latte, possono essere consumati senza grossi problemi pur in presenza di un’intolleranza al lattosio?

«Tra i latticini ce ne sono alcuni che non contengono lattosio, o comunque ne contengono quantità inferiori rispetto al latte di origine. I principali sono i formaggi stagionati e fermentati come il grana, il taleggio, il pecorino fresco, il pecorino romano, la provola e il provolone. C’è poca presenza di lattosio anche in alcuni formaggi più freschi come l’Asiago, il caciocavallo, l’emmental, e la mozzarella. Anche lo yogurt, grazie alla presenza dei fermenti lattici, ha un contenuto di lattosio ridotto del 30-40%. Ma tutto dipende dal grado di intolleranza: per uno che lo è fortemente, a volte basta poco. La difficoltà di digestione, poi, non è costante nel tempo, per cui un alimento che oggi non mi crea alcun problema, tra qualche giorno – se cade in un momento in cui non sto benissimo, sono stressato, ho avuto una forma influenzale o sto soffrendo di problemi di tipo allergologico – potrebbe essere per me molto dannoso».

Si può guarire dall’intolleranza al lattosio?

«No, il difetto di tipo enzimatico uno ce l’ha e se lo tiene. Però, come già detto, la produzione di lattasi e la risposta individuale non sono sempre le stesse e possono modificarsi anche nello stesso soggetto nel tempo. Una condizione che può dare momentanei benefici ma può anche dare l’erronea sensazione di essere guariti. Purtroppo non è così e per questo è importante non abbassare mai la guardia».

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