L’importanza della vaccinazione contro l’infezione da HPV

Il papilloma virus umano è responsabile di infezioni molto diffuse, sia alle mucose sia, soprattutto, ai genitali, che possono causare lesioni ad alto rischio di trasformazione maligna.

Alcune famiglie dell’HPV, infatti, oltre ai tumori del collo dell’utero, possono provocare anche neoplasie all’ano, al pene e alla cavità orale.

La vaccinazione, somministrata prima che l’organismo sia entrato in contatto con il virus, rappresenta la più efficace forma di prevenzione primaria.

Ne abbiamo parlato con il dottor Gianluigi Parisi, che svolge la professione di ginecologo in Humanitas Medical Care Busto Arsizio e Humanitas Mater Domini a Castellanza.

Quali sono le più diffuse malattie sessualmente trasmissibili?

Tra le malattie più frequentemente trasmesse nei rapporti sessuali, oltre alle vaginiti, che possono essere causate da batteri, funghi (Candida) e protozoi (Trichomonas), alla Clamidia e all’herpes genitale, quella che maggiormente preoccupa e che ha una larga diffusione è l’infezione da HPV (Papilloma virus umano).

Di questo virus si conoscono oltre 200 famiglie, simili ma differenti una dall’altra, alcune innocue, alcune più pericolose e altre potenzialmente oncogene.

Queste famiglie vengono identificate con dei numeri, anziché con i nomi. “A oggi, quelle potenzialmente più pericolose sono la 6 e la 11, responsabili dei condilomi (volgarmente dette ‘creste di gallo’), mentre quelle estremamente pericolose sono la 16 e la 18, che, da sole, sono responsabili del 70% delle neoplasie della cervice uterina (cancri al collo dell’utero)”, spiega l’esperto.

Qual è la forma di prevenzione più efficace per l’infezione da HPV?

“La forma di prevenzione primaria è senz’altro quella più efficace”, risponde il ginecologo.

Le quattro famiglie suddette (6, 11, 16, 18) sono comprese nella vaccinazione che viene offerta gratuitamente a tutte le bambine di seconda media.

Le prime sperimentazioni vaccinali su questo virus risalgono al 2000 e si è verificato che le donne vaccinate, appunto, diciannove anni fa oggi sono ancora completamente immuni; tuttavia, “non sappiamo ancora con certezza se si tratti di un’immunità permanente. Se tutte le bambine, però, venissero vaccinate, il virus non potrebbe più ‘girare’ tra una persona e l’altra”, avverte il dottore.

Perché si è scelta questa età per la vaccinazione?

“Innanzitutto, si è fatta questa scelta di età perché è stato accertato che il 98,7% delle bambine di dodici anni non aveva mai avuto nessun tipo di contatto sessuale”, afferma il medico. E aggiunge: “Inoltre, non sapendo per quanti anni il vaccino potrà essere efficace, si è pensato di somministrarlo in un’età più tarda possibile ma ancora immune dai rapporti sessuali”.

Per le bambine più grandi è ancora possibile vaccinarsi?

“Certamente”, risponde il dottore: “Se la vaccinazione non è stata effettuata in seconda media, o per volontà, o per dimenticanza, o per l’età, è possibile farla successivamente. Poiché è molto costosa, oggi si può usufruire anche di alcune convenzioni”.

Ci potrebbero essere altre famiglie dell’HPV potenzialmente pericolose?

Allo studio ci sono molte altre famiglie potenzialmente pericolose, tant’è che, recentemente, è uscito un nuovo vaccino enavalente, che risulta attivo anche verso cinque ulteriori ceppi potenzialmente cancerogeni.

È possibile vaccinare anche i maschi?

“Il vaccino enavalente costituisce la principale forma di prevenzione anche per i maschietti”, afferma l’esperto. Infatti, sono sempre più frequenti i tumori del cavo orale, dell’ano e del pene, anche per via dei rapporti omosessuali.

Può essere pericoloso il vaccino contro l’HPV?

Assolutamente no, anzi la vaccinazione è molto raccomandata”, sottolinea il dottore. “Con il vaccino – spiega il ginecologo – non si inietta il virus, ma la sua capsula che, comunque, possiede le stesse proteine. Per cui, una volta che il nostro organismo è venuto a contatto con la capsula, sviluppa gli anticorpi contro quelle proteine, che sono le stesse del virus. La bambina che è stata vaccinata, quando un domani, attraverso i rapporti sessuali, verrà a contatto col Papilloma virus, ne sarà immune”.

Attraverso quali esami specifici è possibile identificare l’infezione e prevenire il tumore?

Il pap-test è l’esame che riconosce un’alterazione cellulare del collo dell’utero, che si chiama coilocitosi, indotta dal virus. Quindi, se il test risulta positivo, si effettua l’HPV DNA test, una sorta di tampone vaginale, che individua la famiglia a cui appartiene il ceppo virale con cui la donna è venuta a contatto. La finalità di questo esame, quindi, è quella di intervenire con la terapia idonea per impedire che, col tempo, si sviluppi la neoplasia.

Infatti, “il virus non provoca immediatamente il tumore (che ha un’insorgenza molto lunga), ma una serie di patologie preneoplastiche (displasie), alterazioni più o meno gravi, che richiedono piccoli, ma tempestivi interventi”, conclude il dottor Parisi.

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