Non è sempre facile parlarsi guardandosi negli occhi

Secondo una ricerca giapponese, non riuscire a guardare negli occhi il proprio interlocutore mentre gli si parla non sarebbe dovuto a un fattore emotivo, bensì a un sovraccarico del sistema cognitivo, per cui il cervello non riuscirebbe a fare le due azioni contemporaneamente. Inoltre, diventa ancora più complicato sostenere il contatto visivo quando si usano parole poco frequenti nel linguaggio comune.

Per avere le idee più chiare su questo fenomeno, abbiamo interpellato il dottor Paolo Amami, neuropsicologo e psicoterapeuta in Humanitas.

Per quale motivo fissare lo sguardo e, contemporaneamente, trovare le parole giuste per sostenere la conversazione può essere difficoltoso?

“Spesso a confliggere sono due processi della stessa natura, ad esempio due compiti linguistici, che sottostanno, quindi, allo stesso dominio cognitivo, che in qualche modo è sottoposto a iper-lavoro. In questo caso no. Il processo linguistico e quello visivo potrebbero interferire non tanto perché richiedono le stesse risorse specifiche ma perché sfruttano le cosiddette risorse cognitive dominio-generale, quelle abilità trasversali a diverse funzioni cognitive e quindi utilizzate per svolgere compiti diversi”, spiega lo specialista.

Come si è giunti a questa conclusione?

All’Università di Kyoto, in Giappone, ad alcuni volontari è stato chiesto di risolvere dei giochi di associazione tra parole mentre guardavano dei volti sullo schermo di un computer. Alcuni di questi avevano lo sguardo rivolto all’utente altri no. Ai soggetti veniva comunicato un sostantivo al quale, nel più breve tempo possibile, avrebbero dovuto associare un verbo con cui poter creare una frase. “La generazione dei verbi cambiava in base a due parametri: la richiesta di recupero, una misura del grado di “attrazione” dei verbi da parte del sostantivo, e la richiesta di selezione, ovvero il numero di verbi adattabili al sostantivo”, spiega il medico. Incrociando alto-basso recupero e alta-bassa selezione i ricercatori hanno creato quattro diversi scenari. “I partecipanti evitavano il contatto visivo diretto solo quando veniva sottoposto loro un termine ad alta richiesta di recupero e ad alta selezione, ovvero parole che richiamavano dei verbi a loro adatti con qualche difficoltà in più”, afferma Amami.

Che cosa succede a livello cerebrale?

“Secondo i ricercatori, il cervello attivava dei processi linguistici e dei processi dominio-generali di controllo e attenzione ai quali probabilmente fa riferimento anche il contatto visivo. Quando il processo linguistico utilizza delle risorse dominio-generale ecco che i due processi entrano in competizione, la produzione linguistica rallenta e i tempi di reazione sono maggiori”, spiega l’esperto.

È dunque questa l’unica spiegazione del fenomeno?

Lo studio fornisce una possibile ipotesi per interpretare il fenomeno per il quale, quando affrontiamo discorsi “onerosi”, è più probabile che lo sguardo devii. “Però – conclude il dottor Amami – non bisogna dimenticare che nella vita reale influiscono altri fattori (soprattutto di tipo emotivo) che nell’esperimento non sono stati presi in considerazione”.

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