Ortopedia rigenerativa, come evitare l’intervento chirurgico utilizzando le risorse dell’organismo

L’ambito dell’ortopedia rigenerativa ricomprende la serie di azioni mediche che vengono messe in campo per cercare di evitare l’intervento chirurgico in presenza di patologie artrosiche già avanzate, o lesioni che riguardano tendini, ossa e articolazioni.

Ne parliamo con il dottor Paolo Tessari, chirurgo ortopedico specializzato in questa branca, che svolge la sua attività in Humanitas Medicale Care di Bergamo, oltre che in Humanitas Castelli e Humanitas Gavazzeni.

Dottor Tessari, qual è il momento giusto per ricorrere all’ortopedia rigenerativa?

«Prendiamo come esempio la patologia artrosica. Questa ha una sua evoluzione che può essere catalogata in vari stadi di gravità, cui corrispondono diverse tipologie di interventi terapeutici meno invasivi e più contenitivi e rigenerativi possibile. Quando la patologia è al primo stadio la cura può essere impostata su una terapia di tipo fisico o infiltrativo. Il secondo stadio richiede un coinvolgimento di strutture fisioterapiche, cliniche e professionali più importante. Per i casi al terzo stadio la soluzione è inevitabilmente quella dell’intervento chirurgico, ma è proprio in questo spazio che oggi si è inserita l’ortopedia rigenerativa, che rappresenta una tappa intermedia importante con cui cercare, appunto, di risolvere il problema senza dover ricorrere ai ferri del chirurgo».

Entriamo più nel dettaglio: quali interventi prevede l’ortopedia rigenerativa?

«Il primo e più diffuso tra gli interventi di ortopedia rigenerativa consiste nell’utilizzo di PRP più monociti, cioè di centrifugati di piastrine associate a cellule monocitiche che offrono la possibilità di autoriparare, in quadri ben selezionati, tutto l’apparato di tipo muscolo-tendineo e periarticolare. Si procede in questo modo: si preleva il sangue, lo si centrifuga e si concentrano le piastrine e i monociti che in seguito vengono iniettati a livello di articolazioni, tendini e in caso di alcuni tipi di lesione. In pratica, in tutti quei punti in cui ci sia la necessità di una riparazione».

Quali patologie, nel dettaglio, possono essere curate con le infiltrazioni PRP più monociti?

«L’ambito di intervento è molto vasto, ma ce ne sono alcune più frequenti, in particolare in ambito sportivo o in quello delle persone anziani. Parliamo delle lesioni della spalla, che riguardano la cuffia dei rotatori, oppure di quelle relative al tendine d’Achille e di tutte quelle patologie in cui l’apparato muscolo-tendineo è interessato da una lesione non completa».

Quali sono gli altri interventi di tipo rigenerativo?

«Un altro tipo di trattamento – che viene eseguito in ambulatorio o in regime di day hospital, in anestesia locale – è quello articolare-cartilagineo, che viene scelto in situazioni in cui la patologia si è già spinta un po’ più avanti. Mi riferisco ad esempio ai gradi avanzati di coxartrosi, nell’anca, o di gonartrosi, nel ginocchio, e alle alterazioni cartilaginee, tra le altre, della caviglia e della spalla. In tutti questi casi, in cui ci troviamo di fronte a un’alterazione cartilaginea che lascia intravedere un peggioramento della situazione con un peggioramento del quadro artrosico, è possibile intervenire con una procedura che si basa sull’utilizzo del tessuto adiposo della persona interessata. Per spiegare meglio, si procede con il prelevamento di una dose di grasso – solitamente dall’addome, oppure dalla parte laterale della coscia – che viene preparato con una speciale procedura al fine di ottenere un concentrato di cellule da iniettare immediatamente nell’articolazione malata. Una soluzione che ha un alto potere rigenerativo senza che si generi un rischio di rigetto, visto che il tessuto adiposo è autologo, cioè proviene dall’organismo della stessa persona sottoposta alla cura».

Quando il grado della patologia è ancora più grave, è possibile intervenire dal punto di vista rigenerativo?

«Nei casi di patologia più avanzata di grado, un ulteriore step di tipo rigenerativo può essere quello che prevede l’utilizzo di tessuto midollare osseo – prelevato dalla cresta iliaca o da quella tibiale –per curare fenomeni di osteolisi o di rarefazione ossea, ma anche per riparare fratture, visto che questo concentrato è un fattore di crescita per quanto riguarda il tessuto osseo fratturato o da riparare. Oltre questo livello le patologie sono talmente invalidanti da richiedere un intervento chirurgico di sostituzione protesica».

Quando si interviene per tempo l’intervento rigenerativo è risolutivo?

«Sì. Perché ciò avvenga è importante essere molto attenti alla diagnosi precoce, tanto che sarebbe auspicabile uno screening per le patologie di tipo artrosico e articolare, già a partire dal medico di base, così da poter intervenire prima che il danno sia troppo esteso e, magari, abbia anche generato altre patologie, come peraltro accade in molti casi. Per una patologia in grado 2 presa per tempo i riscontri di tipo scientifico parlano di buoni risultati che si attestano attorno all’85% dei casi. Per “buoni risultati” si intende il ripristino di una capacità funzionale tale da assicurare un’autonomia della persona anche con l’avanzare dell’età».

Sono cure che vanno ripetute nel tempo?

«Qualche volta, specie quando si ha a che fare con il mondo dello sport, si è proceduto nella ripetizione di questo tipo di trattamento, ma non c’è alcuna evidenza scientifica che l’esecuzione ripetuta nel tempo dia una maggior garanzia di successo. Si può dunque dire che sia sufficiente un solo trattamento. E questa è la forza dell’ortopedia rigenerativa: la possibilità di curare una persona utilizzando a fini autoriparativi risorse che sono presenti nel suo organismo, con un intervento ambulatoriale che permette di ottenere ottimi risultati capaci di mantenersi nel tempo».

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