Translucenza nucale, cosa fare se il rischio è alto?

Durante la gravidanza, per individuare le probabilità di anomalie cromosomiche, la futura mamma può essere sottoposta a diversi test, come la translucenza nucale. Un esame non invasivo che viene eseguito mediante un’ecografia, insieme ad un prelievo di sangue (test combinato). 

La translucenza nucale non ha un valore fisso, la sua misurazione si modifica al variare della settimana di gestazione. Tuttavia consideriamo allarmanti valori che si collocano sopra i 2,5 mm. Nel caso in cui la misurazione superi queso valore c’è il sospetto che il feto possa presentare delle anomalie cromosomiche.

Come comportarsi in quel caso? Quali accertamenti fare?

Ne abbiamo parlato con la dott. Rossella Lauletta, ginecologa presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care di Varese.

A cosa serve la transulcenza nucale?

È un esame che consente di valutare la probabilità che il feto sia portatore di alcune delle più comuni anomalie cromosomiche di numero (T13, T18, T21, patologie del cromosoma X o Y).

Quando fare la transulcenza nucale?

Questo esame viene eseguito  intorno tra la 11 e la 13+6 settimana di gestazione.

Come funziona la transulcenza nucale?

È un’ecografia durante la quale si misura lo spessore dello spazio tra la cute della nuca e la colonna vertebrale del feto, analizzando anche altri parametri in particolare la presenza dell’osso nasale, il flusso nel dotto venoso e la presenza del rigurgiti della valvola tricuspide,che aumentano l’accuratezza del risultato. Viene eseguita insieme ad un prelievo di sangue che consente di dosare due marcatori biochimici: beta-HCG e PAPP-A).

Cosa succede se il rischio calcolato dal test è alto?

Viene suggerito alla coppia di sottoporsi ad ulteriori indagini di approfondimento, come l’esecuzione del NIPT, qualora non si voglia accedere subito alla diagnosi invasiva, villocentesi o amniocentesi, ecografie di secondo livello, ecocardiografia fetale

Cos’è il NIPT?

Il NIPT (Non Invasive Prenatal Test) è un test prenatale non invasivo che consente di valutare la probabilità che il feto non sia portatore di una delle più comuni anomalie di numero di alcuni cromosomi (T13, T18, T21, X e Y) con una accuratezza superiore al 95%

Generalmente, si effettua dopo la 10ª settimana di gestazione (ma sarebbe preferibile aspettare la 12ª per poter valutare contemporaneamente lo spessore della nuca fetale), prelevando il sangue materno per dosare il DNA libero di origine fetale (cfDNA) nel plasma.

Qualora da Bi-test e/o NIPT emerga un aumentato rischio di patologia cromosomica, la coppia può valutare se decidere di sottoporsi ad indagini più invasive, ma diagnostiche, come la villocentesi e l’amniocentesi.

Cos’è la villocentesi?

È una procedura diagnostica invasiva che viene eseguita tra l’11ª e la 13ª settimana di gestazione e consente di analizzare l’intero corredo cromosomico del feto (cariotipo), per escludere possibili anomalie (numero e struttura) di tutti i 46 cromosomi. Vengono prelevati – tramite un ago che attraversa la parete uterina – dei villi coriali (il tessuto che costituisce la placenta dotato di un patrimonio genetico molto simile a quello del feto).

Nell’1% dei casi possono aversi complicanze, tra cui anche l’aborto spontaneo; dopo il prelievo è possibile notare una lieve perdita di sangue e/o crampi all’utero, che scompaiono quasi sempre in breve tempo.

Viene indicata nel caso di:

  • età materna uguale o superiore a 35 anni (criterio non più presente nei nuovi LEA)
  • Bi-Test e NIPT positivi
  • Precedenti gravidanze con patologia cromosomica
  • Familiarità per anomalie cromosomiche o alcune malattie ereditarie

Cos’è l’amniocentesi?

È una tecnica utilizzata per escludere la presenza di anomalie di numero e di struttura dei cromosomi attraverso il prelievo – di un minuto – del liquido amniotico (20 cc.) in cui è immerso il bambino. Si esegue tra la 15ª e la 17ª settimana di gestazione e consente – analizzando l’intero cariotipo del feto- di escludere eventuali anomalie cromosomiche (come nel caso della villocentesi), e con il dosaggio dell’alfa-fetoproteina (AFP), di valutare il rischio di alcune malformazioni fetali.

Nell’1% dei casi possono aversi complicanze: contrazioni uterine fino all’aborto spontaneo, o infezione della cavità amniotica e/o rottura delle membrane (che possono raramente provocare un parto anche molto pretermine).

Viene indicata nel caso di:

  • Età materna uguale o superiore ai 35 anni (criterio non più presente nei nuovi LEA)
  • Bi-Test e NIPT positivi
  • Precedenti gravidanze con patologia cromosomiche

Un rischio “alto” può dipendere anche da altri fattori e non indicare un’anomalia?

L’aumento del rischio legato ad una translucenza nucale aumentata non necessariamente si associa ad un anomalia cromosomica.

Altre possibili cause possono essere malattie genetiche, anemia severa, cardiopatie congenite, malattie infettive, malattie del sistema linfatico. Tutte cause che vanno opportunamente indagate dopo aver escluso le malattie cromosomiche.

Così come occorre prestare attenzione all’aumento del rischio del test combinato dovuto alla diminuzione eccessiva della PAPP-A che rappresenta un campanello d’allarme per i ritardi di crescita intrauterini e devono pertanto essere attentamente monitorati con ecografie seriate nel corso della gravidanza e pongono indicazione ad una terapia profilattica con cardioaspirina.

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