Tutto il giorno davanti al pc? Attenti al mal di schiena

Tutto il giorno alla scrivania davanti al computer. Lo smart working ha cambiato radicalmente il nostro approccio al lavoro. Da alcuni punti di vista, in meglio, perché ci permette di lavorare più comodamente da casa, organizzandoci meglio e risparmiando tempo e denaro negli spostamenti; da altri in peggio, perché non abbiamo una postazione lavorativa dedicata con la giusta strumentalizzazione, siamo più stressati e spesso facciamo meno pause (basti pensare al caffè con i colleghi) e tendiamo ad essere più sedentari. Tutto questo, come stare seduti a lungo, può portare a gravi problemi della colonna vertebrale.

Ne abbiamo parlato con il dott. Vittorio Da Pieve, fisiatra presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care di Lainate.

Cosa può causare il mal di schiena?

La lombalgia (o mal di schiena), rappresenta il disturbo più frequente delle forme di dolore osteo articolari, interessando il 50% degli adulti in età lavorativa; di cui il 15-20 % ricorre a cure mediche e il 3,5% degli accessi in medicina generale.

Le cause possono essere diverse: da fattori specifici quali traumi, neoplasie, aneurisma dell’aorta, patologia dell’apparato uro ginecologico, patologia infiammatorie, a non specifici come quelli genetici, familiari, presenza scoliosi, cifosi, costituzionali legati all‘età, morfologia (longitipo brachitipo…), psicologici (disturbo somato-forme) a fattori di natura antropologica – sociale (dipendenti dalla possibilità di accesso a strutture sanitarie deputate alla cura).

A confermare che, tutti o quasi, ci ritroviamo (in particolare dopo gli “anta, a svegliarsi la mattina con fitte e dolori sordi della durata ed intensità variabili.                                                         

Condizioni spiacevoli enfatizzate dalla nuova distribuzione del “lavoro agevole”, ovvero lo “smart working.  Il problema è complesso così come le eventuali soluzioni, perché non ci sono regole universalmente e oggettivamente valide.

Qual è la posizione da assumere al computer?

Alle scuole elementari ci insegnano ad avere una postura “composta”: mani conserte in allineamento in modica estensione della colonna e del capo, bacino in antiversione, angolo del ginocchio sulla coscia di 90 gradi, gli avambracci devono poggiare sul banco con un angolo tra braccio ed avambraccio di circa 90° sguardo attento e diritto di fronte a sé: postura mantenuta dagli scolari e studenti dai 4 ai 5 minuti se la lezione è interessante. Ora, abbiamo riesumato questi principi di “assetto genericamente allineato e composto” di fronte al “totem” dei nostri giorni: il monitor del computer, al quale dobbiamo non solo il tempo libero ma anche spesso il pane quotidiano.

Nel mondo occidentale quando si considera la stazione seduta lo si fa pensando all’uso della sedia possibilmente “ergonomica”, adatta al lavoro”, dotata cioè di uno schienale che segue le curvature fisiologiche, cioè il profilo della lordosi lombare (ciò che se mancasse potrebbe essere sostituito da un cuscinetto lombare dell’altezza di circa due cm su L2-L3) e della cifosi dorsale, che salvaguardi l’angolo del bacino sul tronco che deve essere almeno di 90 gradi. L’obiettivo è ridurre il carico sull’osso sacro, permettere alla colonna lombare di assumere la giusta curvatura, garantire i giusti rapporti di spazio dell’addome per i visceri e liberare il diaframma per permettere una giusta escursione durante gli atti respiratori.  A tutto ciò va aggiunta la regolazione della posizione dello schermo a giusta distanza in funzione della dimensione, della acuità visiva.

Questa è la teoria, ma la quotidianità è ben altro. Nell’attività lavorativa svolta fra le mura domestiche, il tavolo, quello della cucina o del salotto, è o troppo basso o troppo alto, la sedia utilizzata più spesso è quella della cucina, ad angolo retto non dotata di schienale e seduta avvolgente, la posizione seduta assunta non è “centrale” ma spesso sul margine anteriore della sedia, in virtù del fatto che mentre si lavora si deve fare attenzione, al piccolo nella culla o nel box, al figlio adolescente che deve mettere in ordine la sua stanza, ai messaggi del telefono, alla pentola o caffettiera sul fuoco, ai panni da stirare, alla televisione (perché spegnerla?). In sintesi, a differenza che sul posto di lavoro tradizionale, l’ambiente domestico offre potenzialmente ed esponenzialmente motivi di distrazione dal compito e quindi causa di tensione emotiva che spesso si risolve in sovraccarico tensionale sui distretti muscolo scheletrici.

E se non si usa la sedia? Le alternative sono ancora peggiori. Se il computer è tenuto sulle ginocchia mentre si è seduti sul divano (magari dotato di cuscino morbido), il bacino tende a scivolare in avanti, generando – se questa postura è tenuta per ore – uno stato di tensione dei muscoli estensori del rachide ed un accorciamento dei flessori di ginocchio e della muscolatura intrinseca del bacino; se invece il pc è posto sul torace, il tronco semi-disteso, le ginocchia flesse in blocco del portatile (perché non scivoli in avanti), la posizione del tratto cervicale, del capo in flessione e l’adduzione del cingolo scapolare, possono causare dolore cervico-dorsale e scapolo omerale a fine giornata.

Quindi qualsiasi postura noi possiamo assumere nel tempo, ossia il mantenimento protratto della stessa posizione, sia essa più o meno “ergonomica”, può essere causa ed avere conseguenze a lungo termine.              

 Vi sono soluzioni?  Probabilmente si può dare una risposta affermativa, ma non così “genericamente standardizzabile“, come spesso riportato in rete. Non si tratta di proporre formule valide per tutti.

Il lavoro a casa (home working) è una rivoluzione, l’ufficio spesso è un luogo asettico, con carattere impersonale, statico, se possibile, silenzioso. La casa che abitiamo, dovrebbe essere tutto meno che questo; quindi, ecco un primo indizio delle difficoltà che è possibile incontrare, è l’incongruenza fra il nostro essere nel “pubblico” e il nostro essere nel “privato”. Il lavoro a casa modifica la modalità di utilizzo del nostro spazio, del nostro tempo: la casa, “dimora”, diventa spazio pubblico.

Un esempio esplicativo: nelle riunioni di lavoro on line c’é sempre un “dietro la persona” spesso costituito da una libreria, un quadro: lo schermo trasforma in pubblico ciò che prima non lo era. Non a caso è possibile rendere lo sfondo del nostro computer anonimo (per esempio durante una video conferenza) ma in questo caso la nostra immagine viene de-contestualizzata. Un ulteriore fonte di potenziale stress è che mentre siamo in riunione può succedere l’irreparabile: i parenti stretti marito moglie, compagni/e figli/e, cane, gatto, ignari ed “indifferenti” possono passare dietro lo schermo.  

Va segnalata una nota aggiuntiva: Zoom, Meet e le altre piattaforme di videoconferenza, non sono “luoghi”quindi non attivano il legame delle esperienze che abbiamo attraverso di loro in memoria autobiografica “gli spazi digitali non sono gli spazi fisici”.

Tuttavia sembra che lo “smart working” renda le persone più produttive perché in casa gli spazi del lavoro sono anche quelli dell’evasione, ma il mancato distacco dall’uno all’altro può generare una fluttuazione logorante delle funzioni di attenzione, uno stridente compromesso fra il dovere e l’essere che in un batter d’occhio si tramuta in dover essere, in sintesi, nonostante le difficoltà potenziali descritte precedentemente, si torna al computer dopo le faccende domestiche con una soluzione di continuità senza quel necessario “stacco”. 

Lo spazio delle interazioni in casa legate all’intimità, alla memoria, è lo stesso dello spazio lavorativo, fonte di una erosione della capacità di controllo.  

Ciò che si vorrebbe dimostrare è che “l’home working” non è lo “smart working” e che per passare dall’uno all’altro abbiamo necessità di accorgimenti/adattamenti più o meno radicali riguardanti la quotidianità. Occorre infatti darsi delle priorità:

a) Spazi: isolare il più possibile gli spazi del lavoro da quelli di casa, ossia avere uno spazio dedicato, un angolo allestito appositamente, senza possibilmente disturbi esterni.  Organizzare lo spazio lavorativo nel confort migliore che si possa pensare per sé. Dare importanza a spazi che un tempo avevano funzione di transizione (e quindi neutri) dove svolgere attività non collegate al lavoro, scegliere arredi flessibili con sedute e piani di lavoro facilmente trasformabili e adattabili.

b) Organizzare il tempo di lavoro ed il tempo di svago: il lavoro a casa obbliga ad una interazione sociale ridotta; pertanto, le attività di pianificazione della settimana devono includere momenti nei quali il recarsi in luoghi di interazione diventa non sono una necessità ma un obbligo. L’attività motoria non dovrebbe essere orientata verso un unico raggiungimento di obiettivi (prestanza, potenziamento) ma libera al principio del piacere (fare delle cose che soddisfino la propria necessità di movimento). 

Le linee guida della lombalgia indicano l’esercizio fisico come terapia di elezione per il low back pain, eleggendo le ginnastiche dolci (Pilates, Idro-chinesiterapia) e le pratiche orientali (lo yoga ed il tai chi   a raccomandazione per la prevenzione e la cura.  Di particolare rilievo sono quelle tecniche che favoriscono esercizi di rinforzo, resistenza, coordinazione ed esercizi per il core stability.

Quando consultare uno specialista? 

In medicina della riabilitazione vi sono diversi criteri che rivelano uno stato di sofferenza del tratto lombare o sacrale, al fine di separare ed attribuire alla sintomatologia dolorosa un’origine mio-fasciale o legate a meccanismi patogenetici differenti. 

Per avviare il processo di cura appropriato è necessario andare dal medico in presenza di formicolio; riduzioni o perdita di sensibilità agli arti superiori, inferiori, o al tronco; riduzione della massa di alcuni gruppi muscolari; diminuzione della forza.

Significativa, per esempio, è la difficoltà di riuscire a camminare sulle punte sui talloni, tutti segni che possono indicare uno stato di compressione radicolare. In questi casi il medico potrà prescrivere le necessarie indagini strumentali quali la radiografia, la risonanza magnetica, la tac, o l’elettromiografia, e permettere una diagnosi specifica ed il supporto farmacologico e riabilitativo adeguato.

Medicina Fisica e Riabilitazione
Dr. Vittorio Da Pieve
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