Come capire se un anziano non è più autosufficiente?

Fino a qualche tempo fa si pensava che la disabilità dell’anziano fosse correlata unicamente alla presenza di una malattia. Tuttavia, studi più recenti, hanno confermato che le cause di non autosufficienza possono essere riconducibili anche a fattori sociali, ambientali e psicologici. Come riconoscere il decadimento e come intervenire?

Ce ne parla il dott. Giampaolo Lucchesi, fisiatra presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Domodossola a Milano.

Da cosa può essere causata la non autosufficienza?

Come dicevamo, la malattia da sola non è per forza causa di una disabilità e le limitazioni di una disabilità non sono causate sempre e solo da una malattia ma concorrono una serie di fattori (sociali, come amici, conoscenti e famiglia; ambientali, come città, trasporti, barriere architettoniche; psicologici, come umore o storie di vita) che possono incrementare o far diminuire una disabilità fisica.

Come si riconosce il decadimento fisico di un anziano?

Esistono alcuni segnali a cui dobbiamo prestare attenzione, come:

·  il cambio di alcune abitudini

·  riduzione o limitazione dell’attività motoria o psico-fisica

·  precoce affaticabilità

·  aumento o diminuzione di peso

·  cambiamenti nella postura e di conseguenza nella deambulazione che possono aumentare i rischi di caduta

L’aspetto più importante riguarda la riduzione dell’attività motoria (una delle prime cause della perdita di autosufficienza), spesso legata a patologie organiche, ovvero riferite ad un organo specifico (come problemi muscolo-scheletrici, cardiocircolatori, respiratori, cognitivi e metabolici) ma non solo.

Tante volte viene giustificata dall’età, dalle abitudini, dall’ambiente in cui vive l’anziano, dal suo carattere o da una possibile convalescenza. 

Questa condizione prende il nome di sarcopenia e porta ad un progressivo decadimento fisico con conseguente perdita di autonomia.

Si stima che ne siano affetti fino al 20% della popolazione tra i 65-70 anni ed oltre il 40% degli over 80 anni.

Se trascurata, la ridotta attività motoria, innesca un processo catabolico che porta ad una progressiva riduzione della sintesi proteica con conseguenze non soltanto sull’apparato muscolo-scheletrico, ma anche in altri ambiti con la comparsa di svariati disturbi. In particolare possiamo segnalare: 

  • deficit cognitivi (sistema neurologico)
  • aumentato rischio di sviluppare infezioni (sistema immunitario)
  • cambiamenti di peso, glicemia, disidratazione (sistema metabolico)
  • artrosi e osteoporosi (sistema muscolo-scheletrico)

Quando è necessario rivolgersi allo specialista?

Sarebbe utile prendere contatto con un medico specialista non appena compaiono i sintomi di quella che se trascurata potrebbe diventare una vera e propria sindrome sarcopenica. L’evoluzione di questa condizione fa sì che alla comparsa di sintomi evidenti, come la difficoltà nel movimento fino all’allettamento, la situazione sia già in fase avanzata. 

È molto importante dunque porre attenzione a quei “campanelli d’allarme” che possono farci sospettare qualcosa. In particolare possiamo osservare cambi di abitudini, tendenza a ridurre le uscite di casa (spesso adducendo cause esterne), interruzione di pratiche motorie-sportive in essere, riduzione dell’appetito o cambio di abitudini alimentari. Un periodo ad alto rischio di sarcopenia è la fase post-degenza o post-allettamento dove il recupero ed il ritorno “spontaneo” alla quotidianità spesso non è sufficiente per un ripristino delle normali condizioni psico-fisiche. 

Che tipo di visita farà lo specialista?

La visita in questi casi si svolge su più piani; il primo passo è una dettagliata raccolta anamnestica, patologica (prossima e remota) ma soprattutto fisiologica, indagando le abitudini e lo stile di vita precedente ed attuale del paziente. Dal punto di vista strettamente sanitario è necessaria una valutazione medica internistica generale e soprattutto una valutazione delle funzionalità motorie globali. Se si sospetta una sindrome sarcopenica è possibile eseguire una serie di test fisici (misurazione forza della presa, test della sedia, velocità del cammino, ecc.) e nei casi più complessi anche strumentali (impedenziometria bioelettrica, DEXA, RMN, ecc).

Come vengono trattati questi pazienti?

 Il trattamento deve assolutamente essere multidisciplinare. Come abbiamo visto la sindrome sarcopenica arriva a far perdere massa muscolare, ma questo è strettamente correlato ad un metabolismo proteico molto complesso che parte dall’apporto alimentare e coinvolge molti organi (intestino, reni, encefalo, ecc). È quindi importante fornire un adeguato apporto nutrizionale, con anche il supporto di integratori specifici e, contemporaneamente, incrementare la quota muscolare non solo rinforzando la muscolatura, ma anche e soprattutto, almeno in una prima fase, “riallenando” l’apparato neuro-muscolare. Nelle prime fasi si punterà ad esercizi di cambi di posizione, verticalizzazione, deambulazione, esercizi di equilibrio che forniscono i giusti stimoli neuro-muscolari per riattivare il metabolismo proteico. 

In tutte queste fasi bisogna assolutamente monitorare i parametri internistici generali come la funzionalità respiratoria, cardiologica, renale, endocrinologica, ecc. 

Dopo quanto tempo, una ridotta mobilità può portare alla sarcopenia?

Diversi studi scientifici hanno appurato che la perdita di massa muscolare per immobilità compare fin da subito ed è rilevante soprattutto nei primi giorni. Dopo soli 5 giorni, ad esempio, la circonferenza del muscolo quadricipite femorale si riduce di circa 1,5 %. Dopo sei settimane di allettamento si è stimato una perdita di circa il 50% della forza. Teniamo anche presente che fisiologicamente la massa muscolare si riduce con l’età; dopo i 50 anni la forza muscolare si riduce mediamente del 1-5% all’anno. Il tempo dunque di sviluppo di una sindrome importante varia da persona a persona e soprattutto è correlato con l’età.

Parlando di sindrome sarcopenica possiamo dire che, pur iniziando dai primi giorni, la comparsa di disturbi significativi avviene dopo circa 2-3 settimane di allettamento o ipomobilità severa. Per questi motivi sarebbe importante intraprendere un percorso fisioterapico specifico fin dall’inizio dell’immobilità, ovviamente sempre nel rispetto e compatibilmente con le condizioni cliniche generali.

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