COVID-19 e vaccino: quando avremo l’immunità di gregge?

La campagna vaccinale per prevenire il COVID-19, è arrivata in Italia nel dicembre del 2020 con un piano nazionale di vaccinazione che prevede più fasi.

Ma quando avremo l’immunità di gregge? Quante persone dovranno vaccinarsi per raggiungere la copertura necessaria a proteggere anche coloro che non sono vaccinati? 

Ne abbiamo parlato con il professor Alberto Mantovani, Direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University.

Cos’è l’immunità di comunità?

I vaccini sono di diversi tipi, quelli contro il COVID-19 (a differenza di altri che possono contenere forme modificate di un virus o di un batterio) contengono una sostanza particolare presente nello stesso virus, la proteina Spike, che da sola non provoca la malattia ma ha il compito di sollecitare una risposta immunologica simile a quella causata dall’infezione del Coronavirus, insegnando al nostro sistema immunitario a rispondere, in breve tempo, quando attaccato, grazie ad una sorta di memoria immunologica.

Quando gran parte di una popolazione è immune nei confronti di una determinata malattia (grazie al vaccino o al fatto di aver già sviluppato gli anticorpi), si arriva a quella che viene definita ‘immunità di comunità’, cioè un immunizzazione quasi completa della popolazione (esclusi tutti gli individui che per la loro storia clinica non possono vaccinarsi) che blocca la diffusione del virus garantendo maggior sicurezza anche alla fascia più debole e non vaccinata della società. Una situazione che non può presentarsi se il livello di immunizzazione è basso perché, in questo caso, virus e batteri possono diffondersi rapidamente tra le persone.

Perché non è possibile raggiungere l’immunità senza vaccinazione?

L’immunità di una comunità si potrebbe raggiungere anche senza un vaccino, ma significherebbe esporre al virus una fetta importante della popolazione che causerebbe un rialzo della mortalità e un sovraccarico delle terapie intensive, portando a una saturazione del sistema sanitario. A farne le spese sarebbero soprattutto le fasce più deboli della popolazione (quelle con patologie importanti come malattie cardiovascolari o tumori), perché il SARS-CoV-2 è molto contagioso e presenta ancora numerose incognite.

Per questo è necessario non ‘abbassare la guardia’. L’efficacia dei vaccini è indubbia ma queste incognite, anche se vaccinati, ci richiedono di prestare ancora la massima attenzione nei comportamenti individuali (utilizzando precauzioni come mascherine, distanziamento e igiene delle mani) per frenare l’avanzata del virus.

Quando raggiungeremo l’immunità di comunità?

Si stima che per raggiungere l’immunità di comunità debba essere vaccinato almeno, all’incirca, il 70% della popolazione. Ma prima di questo non possiamo dimenticare che la nostra prima priorità, ora, è mettere in sicurezza tutte le persone over-60 ed i pazienti cosiddetti “fragili”, per controllare efficacemente la mortalità e ridurre l’ospedalizzazione.

Una volta vaccinati gli over-60 e pazienti fragili, dobbiamo puntare ad avere almeno il 70% delle persone vaccinate: questo numero permetterebbe infatti una minor circolazione del virus grazie anche alla conseguente riduzione dell’indice RT, l’indicatore del numero di persone che vengono contagiate in media da una sola persona infetta nell’arco di un determinato tempo.

Il SARS-CoV-2 è un virus che ha una capacità di trasmissione della malattia di circa 10 volte inferiore al virus del morbillo (per fare un esempio) per il quale l’immunità di comunità viene raggiunta con il 95% delle persone vaccinate.

Tuttavia, fare delle stime per il morbillo è più semplice: contro questo virus – che è stabile e immutato, in quanto non ne sono comparse varianti più aggressive –  abbiamo un vaccino che funziona molto bene e conferisce un’immunità di lunga durata.

Per il COVID-19 la situazione è molto diversa, il che rende più difficile fare delle stime: abbiamo diversi vaccini che non sappiamo quanto e quanto a lungo proteggano dando immunità, soprattutto sui pazienti più fragili. Inoltre, il virus muta e la variante inglese, oggi prevalente, è più infettiva.

Difficile, dunque, fare stime precise riguardo all’immunità di gregge. Sarà necessario verificarle sul campo. Ad oggi, secondo gli ultimi dati, ci vorranno ancora diversi mesi per raggiungere i numeri necessari.

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