I nostri piccoli vanno aiutati a coltivare la manualità e grado di attenzione

Che i dispositivi elettronici contribuiscano a migliorare la nostra vita sotto molti punti di vista – come quelli legati alla disponibilità di informazioni e alla possibilità di mantenere i contatti a distanza – è fuori di dubbio.

È altrettanto vero però, e lo sappiamo ormai da tempo, che questa utilità è tale solo quando il loro utilizzo riesce a essere mantenuto entro certi limiti, superati i quali si tende a entrare nell’uso sconsiderato che può avere influssi negativi sia sulla salute, sia sull’equilibrio psicologico di chi ne abusa.

Questo vale anche e soprattutto per i più piccoli, che devono essere aiutati dagli adulti perché non hanno in loro la capacità di capire quando l’uso si trasforma, appunto, in abuso.

Ne parliamo con la dottoressa Dora Siervo, psicologa di Humanitas Medical Care di Bergamo.

Dottoressa Siervo quali sono i primi effetti dell’abuso di dispositivi elettronici da parte dei bambini?

«La prima a essere perduta, o addirittura a non essere acquisita del tutto, è la capacità manuale. Fin dalla prima età, corrispondente a quella della scuola materna, si tende a mettere in mano dei bambini cellulari, ipad o computer per “tenerli buoni”, contando sull’indubbio effetto ipnotico di questi strumenti, paragonabile se non superiore a quello della televisione. Questa “gabbia neuronale” cui vengono sottoposti li mette in una condizione di passività che nulla ha a che vedere con il “fare le cose” che a quell’età farebbe loro un gran bene. Disegnare, colorare, fare costruzioni, lavoretti che richiedano una manualità, come anche cucinare sporcandosi le mani… tutte queste attività che una volta erano normali oggi sono sempre più rare».

Quali sono le conseguenze di questa diminuita capacità manuale?

«Oltre a tradursi in una diminuita capacità di fare le cose, come detto, si viene a generare anche una diminuita motricità, perché al computer e al cellulare ci si sta da fermi e ci si muove davvero poco, per quell’età. A mancare è anche la cosiddetta motricità fine, quella che servirà loro, ad esempio, quando alle scuole elementari cominceranno a scrivere. E, infine, si crea una forte diminuzione del grado di attenzione che poi, negli anni successivi, si tradurrà in difficoltà a riuscire a seguire con la dovuta continuità le lezioni scolastiche».

Qual è il meccanismo che provoca questa diminuzione del grado di attenzione?

«È una situazione dovuta al fatto che i dispositivi ipnotici, se da un lato hanno l’effetto ipnotico di cui abbiamo parlato, dall’altro bombardano il cervello con continue informazioni che si accavallano una sull’altra in tempi ristrettissimi. La mente dei bambini – ma lo stesso accade anche con gli adulti – è per questo interessata da continui stimoli che hanno il risultato di provocare una difficoltà di concentrazione protratta nel tempo. Sempre più insegnanti denunciano questo fatto: i bambini, fin dalle prime classi, hanno bisogno di essere stimolati in continuazione perché sono incapaci di seguire un unico discorso anche solo per alcuni minuti. Questo provoca in loro una certa irrequietezza, difficile da gestire da parte di chi deve tenere ben salda l’attenzione dei venti e più bambini riuniti in ogni singola classe».

Spesso i bambini sono spaventati dalla noia. È un bene?

«Se è vero che è bene stimolare sempre i bambini, è anche vero che non bisogna oberarli di attività, per non rischiare l’effetto contrario, quello che poi porta all’iperattività. Uno dei motivi per cui i bambini vorrebbero sempre restare attivi sui dispositivi elettronici è: “Se no mi annoio, non so che cosa fare!”. Ed è proprio lì il punto: la noia, nell’età evolutiva, ti fa venire in mente e creare delle cose stupende. Se ti annoi sei portato a inventarti giochi, a costruire oggetti con quello che hai a disposizione, a disegnare, a dedicarti alla musica, anche se in modo abbozzato, vista la tenera età».

Che cosa fare dunque, lato genitori e adulti, per indirizzare bene i più piccoli?

«Il consiglio è quello di porre dei limiti, dei paletti precisi oltre cui non si può andare. Se li si mette fin dall’inizio sarà più facile, poi, pretendere che il bambino li rispetti. Più complicato è intervenire quando è troppo tardi e il piccolo si è già abituato a ritmi non adatti. I limiti temporali di utilizzo dei dispositivi possono essere posti in vari modi. Ad esempio “puoi usarlo solo dalle 14 alle 15” oppure “puoi usarlo un’ora al giorno, decidi tu quando”, sono tutti vincoli che possono essere messi in automatico, una volta stabiliti. In genere il bambino si lamenta, ma poi si abitua a seguire le indicazioni. Chiaro che poi gli adulti devono dare il buon esempio, e non sempre è così scontato che anche loro sappiano porsi dei limiti in questo senso…».

E al di fuori dell’utilizzo dei dispositivi, come ci si deve muovere?

«Bisogna stimolare l’attenzione dei bambini e in seguito dei ragazzi. Invitarli a leggere, portarli a visitare musei, mostre, concerti. Ma anche fare con loro qualche passeggiata in città, in campagna, nei parchi, in montagna, sulla spiaggia… Un’altra cosa importante da fare è ascoltare i nostri figli. I bambini hanno bisogno di essere guardati, devono sentire l’attenzione degli adulti che hanno di fronte. A volte può bastare fermarsi, sedersi al loro fianco, guardarli negli occhi per conquistare la loro attenzione. Non è sempre facile, perché noi adulti abbiamo sempre un sacco di cose da fare e andiamo quasi sempre di fretta, ma in alcuni momenti è proprio importante dire al proprio figlio: “Ok, sono qui vicino a te e ti ascolto con attenzione”».

Questo vale anche per i pre-adolescenti?

«Sì, certo. Tante problematiche che si sviluppano a quell’età sono proprio figlie dell’idea che il ragazzo si fa di non interessare ai propri genitori, che mostrano di avere sempre altre cose per la testa. La riprova che hanno bisogno della nostra attenzione è quando chiedono spesso: “Hai capito?” oppure ripetono più volte lo stesso concetto perché hanno l’impressione che tu non l’abbia ascoltato a dovere. Per questo, ripeto, è importante fermarsi – anche fisicamente – e ascoltare i propri figli».

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