Il morbo di Parkinson: sintomi e campanelli d’allarme

Il Parkinson è tra le malattie neuro-degenerative più diffuse al mondo, dopo l’Alzheimer: ad oggi ne soffrono in Italia circa 300mila persone in Italia e quasi 6 milioni in tutto il mondo; un numero che raddoppiato tra il 1990 e il 2015, passando da tre ai sei milioni di oggi.

Secondo il Journal of Parkinson’s Disease, una delle più importanti riviste scientifiche sul tema, il numero di pazienti che soffrono di Parkinson potrebbe raddoppiare entro il 2040 arrivando a 12 milioni, causa anche una popolazione che tende sempre più ad invecchiare.

Ne abbiamo parlato con il dottor Michele Perini, neurologo in Humanitas Medical Care.

Il morbo di Parkinson e i sintomi più diffusi

“Il morbo di Parkinson si presenta a seguito della progressiva degenerazione delle cellule nervose del cervello, responsabili della produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola numerose funzioni dell’organismo – ha spiegato Perini – come il controllo del movimento, il comportamento, l’umore, il ritmo del sonno, una parte della cognitività”.

Movimenti rigidi e lenti, tremori a riposo  e perdita di equilibrio sono le principali caratteristiche del morbo di Parkinson, sintomi che si presentano spesso in modo asimmetrico, colpendo maggiormente un lato del corpo rispetto all’altro.

Non sempre però questa patologia si manifesta in modo chiaro: in alcuni casi si presenta senza palesare i classici sintomi di rigidità dei movimenti  di tremore, rimanendo in sordina e non consentendo a chi ne soffre di ipotizzare subito la malattia.

Esistono, però, piccoli segnali di avvertimento da non sottovalutare che si manifestano molto tempo prima rispetto alla comparsa della patologia e che possono essere considerati dei veri e propri campanelli d’allarme.

I campanelli di allarme

Tra i piccoli segnali ‘precoci’ che potrebbero anticipare lo sviluppo della malattia di Parkinson, ci sono ad esempio la perdita di espressività, dovuta alla carenza di dopamina che rende i muscoli del viso più rigidi, e il cambio del tono della voce, che diventa sempre più debole, mentre il linguaggio si fa confuso.

In generale la personalità si modifica, l’umore diventa instabile e si alterna a momenti di apatia, fino al sopraggiungere di episodi di depressione.

Anche il senso dell’olfatto e del gusto potrebbero essere compromessi: sono considerati, infatti, tra i primi campanelli d’allarme del morbo di Parkinson anche se, nella maggioranza dei casi, non vengono presi sufficientemente in considerazione. Mutamento nella sudorazione. Il morbo di Parkinson, colpendo il sistema nervoso, può compromettere l’autoregolazione dell’organismo. Reazioni come la sudorazione possono mutare considerevolmente, come aumentare senza alcuna ragione apparente. Anche l’aspetto dell’incarnato, in particolare del viso, può subire delle variazioni, diventando eccessivamente oleoso e seborroico.

Tra i disturbi del nostro organismo che potrebbero anticipare la malattia anche una inspiegabile pressione bassa e problemi intestinali come la stitichezza: sono due disturbi dovuti, anche in questo caso, alla carenza di dopamina nel sistema nervoso che regola tra le altre cose anche la funzionalità dei nostri organi e visceri.

“Il tipico tremore collegato al morbo di Parkinson, dunque, non è il solo e unico segnale da tenere in considerazione. Il tremore, infatti, non è un sintomo presente dall’inizio della patologia, ma può manifestarsi con il tempo, quando la malattia è già progredita – ha chiarito il dott. Perini -. Per questo motivo, è importante valutare in maniera corretta quei campanelli d’allarme, non sempre collegati al movimento, che possono preannunciare il morbo di Parkinson”.

La cause

Le cause di questa malattia non sono ancora del tutto note, ma gli studi ipotizzano ad una serie di concause: sembra infatti che diversi elementi concorrano al suo sviluppo. Innanzitutto fattori genetici: le mutazioni di alcuni geni sono associate al Parkinson e la familiarità: circa il 20% dei pazienti presenta una storia familiare positiva per la malattia. Inoltre, risulta rilevante anche l’esposizione a sostanze tossiche come pesticidi, idrocarburi-solventi e metalli pesanti (ferro, zinco, rame).

La diagnosi e il trattamento

Per diagnosticare la malattia di Parkinson, non esiste un solo esame clinico, ma serve ricostruire la storia clinica e familiare del paziente, insieme alla valutazione dei sintomi e segni neurologici. Il medico si affiderà dunque, ad esami come la risonanza magnetica nucleare ad alto campo, la SPECT DATscan, la PET cerebrale (che ci possono evidenziare carenze di dopamina nei nuclei della base) e la scintigrafia del miocardio. Il neurologo, infine, deciderà se e quali esami il paziente dovrà eseguire per il completamento della diagnosi.

Poiché le cause non sono ancora del tutto chiare, non esiste una cura specifica per la malattia di Parkinson; nonostante questo il trattamento farmacologico, la chirurgia e la gestione multidisciplinare sono in grado di fornire sollievo ai sintomi.

La terapia

I farmaci in uso sono essenzialmente la levo-dopa (trasformata in dopamina a livello cerebrale), farmaci detti dopa agonisti perché stimolano i recettori  cerebrali della dopamina, farmaci che bloccano le due vie di degradazione della dopamina aumentando così la dopamina cerebrale: la via tramite l’enzima MAO B (inibitori MAO B come rasagilina, selegilina, safinamide) e la via COMT (inibitori COMT come entacapone, tolcapone, opicapone)

Sono tutti farmaci sintomatici, cioè agiscono migliorando i sintomi, ma non la causa della malattia, che comunque tende a progredire.

Pertanto con il tempo i farmaci perdono efficacia e per alcuni pazienti selezionati possono essere proposte alternative chirurgiche (come la stimolazione con elettrodi intracerebrali profondo delle strutture dei gangli della base, chiamata stimolazione cerebrale profonda o DBS) o infusione continua di dopamina  in duodeno o di dopagonisti sottocute per ridurre l’impatto del frazionamento della terapia orale ( 4-5 somministrazioni al giorno in pazienti avanzati).

Importante, infine, è anche il ruolo della fisioterapia, proposta anche in periodi di trattamento intensivo in Centri specializzati, e le stimolazioni motorie e cognitive proposte dalle Associazioni dei pazienti sul territorio.

La ricerca

Oltre a numerosi studi per comprendere meglio le cause della malattia, la ricerca farmacologica attualmente cerca di proporre farmaci stabilizzanti i livelli nel sangue della levodopa, che ha una breve emivita e deve essere pertanto somministrata  fino a 4-5 volte al giorno, con pazienti che talora passano rapidamente a un eccesso di stimolazione ( comparsa di movimenti involontari, stati confusionali, allucinazioni) a blocchi improvvisi per fine dose.

In tal senso agiscono gli ultimi inibitori enzimatici (safinamide, opicapone), e sono in studio formulazioni di Levodopa orale a lunga durata, o vie alternative sottocutanee, transdermiche (cerotti a lento rilascio) e persino gengivali o nasali .

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