Ipertensione arteriosa, questa sconosciuta

Con ipertensione arteriosa si definisce una condizione caratterizzata da un’elevata pressione del sangue (nelle arterie). La misurazione della pressione arteriosa viene espressa attraverso due valori: pressione sistolica (massima), quando il muscolo cardiaco si contrae (sistole) e pressione diastolica (minima), quando il muscolo si rilassa (diastole) tra un battito e l’altro.

Negli adulti i valori normali sono compresi entro i 120/80 mmHg.Si parla di ipertensione quando uno o entrambi i valori di riferimento sono superiori alla norma, fattore che aumenta la probabilità che si verifichino altre patologie cardiovascolari. Per questo, è importante individuarla e curarla in tempo.

Ce ne parla la dott.ssa Daniela Maria Guiducci, cardiologa presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Premuda a Milano.

Perché la pressione alta è pericolosa?

La definizione di ipertensione arteriosa corrisponde al riscontro di valori pressori superiori o uguali a 140 mmHg per la sistolica (massima) e 90 per la diastolica (minima).

Esiste una classificazione riguardo i valori della pressione arteriosa:

Si parla di normalità quando la sistolica:

·  è inferiore a 120 e la diastolica inferiore a 80 mmHg (valori ottimali)

·  è compresa tra 120 e 129 e e la diastolica tra 80-84 mmHg (valori normali)

·  si trova tra 130-139 e la diastolica 85-89 mmHg (valori normali)

Si parla invece di ipertensione arteriosa quando:

·  i valori sono 140-159 per la sistolica e 90-99 mmHg per la diastolica (di 1° grado)

·  i valori sono 160-179 e per la diastolica 100-109 mmHg (di 2° grado)

·  quando la sistolica è maggiore o uguale a 180 e la diastolica maggiore o uguale a 110 mmHg (di 3° grado)

·  quando solo la massima è superiore o uguale a 140 e la minima risulta invece normale (Ipertensione arteriosa sistolica isolata)

È importante sapere che l’ipertensione ha una prevalenza negli adulti del 30-45 % con un riscontro lievemente superiore negli individui di sesso maschile (24%) rispetto a quella di sesso femminile (20%).

La prevalenza di questo fattore di rischio cardiovascolare (FCV) aumenta con l’età raggiungendo una percentuale maggiore al 60% superati i 60 anni di età.

Quali sono i fattori di rischio cardiovascolare?

La sedentarietà e quindi l’obesità, il diabete, il fumo e l’ipercolesterolemia, oltre all’avanzare dell’età, sono i principali fattori di rischio che favoriscono la sua comparsa. 

Inoltre, è importante sapere che esiste anche familiarità, se i genitori ad esempio sono ipertesi la probabilità di andare incontro ad elevati valori pressori risulta essere aumentata. Anche una menopausa precoce può contribuire ad un incremento pressorio ed è per questo motivo che tutte le donne in età non più fertile dovrebbero periodicamente eseguire una rilevazione dei loro valori pressori. Per le donne è inoltre importante sapere se hanno avuto incrementi pressori durante la gravidanza o pre eclampsia prima del parto.

È importante sapere che valori pressori superiori a 140 mmhg aumentano la mortalità e una eventuale disabilità secondaria a:

  • Eventi ischemici al cuore (come infarto o angina)
  • Episodi al cervello (come ictus o TIA)

Come viene calcolato il rischio globale?

Raramente l’incremento dei valori pressori si presenta come unico ed isolato fattore di rischio cardiovascolare con un effetto moltiplicativo se i fattori di rischio sono molteplici, come dire che si potenziano vicendevolmente.

Al fine di una corretta valutazione complessiva del paziente è sempre corretto eseguire quindi una valutazione del rischio complessivo del paziente. Per fare questa valutazione si devono utilizzare le carte del rischio che ci consentono di ottenere un numero che esprime la probabilità per ciascun paziente di andare incontro ad un evento cardiovascolare nei 10 anni di vita successivi.

Per spiegare meglio il concetto di valutazione del rischio globale basta capire che il medesimo valore di pressione sistolica, ad esempio 145 mmHg, in un paziente senza altri fattori di rischio lo espone ad un rischio basso, rischio che diventa viceversa moderato/elevato in presenza di almeno tre fattori di rischio che abbiamo imparato a riconoscere.

La stratificazione del rischio cardiovascolare globale si basa sull’ identificazione di:

•   Categoria di ipertensione

•   Altri fattori di rischio cardiovascolare

•   Danno d’organo asintomatico

•   Diabete mellito

•   Malattia cardiovascolare sintomatica o malattia renale cronica

Pertanto, i soggetti che vengono definiti a “Rischio Elevato/Molto Elevato”, sono i pazienti con:

  • Cardiopatia ischemica nota
  • PAS ≥180 mmHg e/o PAD ≥110 mmHg
  • Diabete mellito
  • Nefropatia
  • Sindrome metabolica
  • ≥3 fattori di rischio cardiovascolare

Quando si parla di ipertensione arteriosa secondaria?

A questo punto è importante sapere che esiste anche la possibilità che l’aumento pressorio non sia primario ma secondario e quindi conseguente ad altre patologie anche se si tratta di casi abbastanza sporadici.

Le più frequenti cause sono le malattie renali, la sindrome delle apnee notturne ma anche il feocromocitoma, tumore benigno che secerne una sostanza responsabile dell’incremento dei valori, l’iper o l’ipotiroidismo o patologie congenite a carico dell’aorta.

Ricordiamo che esistono anche farmaci o sostanze che possono essere responsabili di un incremento dei livelli pressori. Le più comuni sono la pillola anticoncezionale, la liquirizia, i decongestionanti nasali, droghe, farmaci utilizzati per dimagrire e terapie oncologiche.

Come misurare correttamente la pressione?

Per rilevare i valori pressori si deve usare uno sfigmomanometro da braccio.

La pressione dovrebbe essere misurata ad entrambe le braccia soprattutto in occasione della visita iniziale ma anche dopo 3 minuti in cui si è rimasti in piedi e questo parametro risulta utile soprattutto nei pazienti anziani e nei pazienti affetti da diabete mellito.

La pressione dovrebbe essere rilevata almeno tre volte a distanza di circa 1 minuto da una misurazione alla successiva in un ambiente tranquillo per poi fare la media dei valori ottenuti. Bisogna essere seduti o sdraiati da almeno 5 minuti; se seduti il bracciale della pressione deve essere posizionato all’altezza del cuore, quindi almeno un dito sopra la piega del gomito, e con il braccio appoggiato ad un piano fermo.

I valori pressori rilevati dal paziente in autonomia al proprio domicilio rappresentano un valido aiuto per il medico e normalmente risultano lievemente inferiori rispetto a quelli rilevati in un ambulatorio medico perché privi della componente emotiva spesso frequente.

Ricordiamoci a questo proposito che esiste anche l’ipertensione arteriosa da camice bianco che interessa circa il 30-40% delle persone e più del 50% degli anziani; in tal caso è importante che il medico controlli in più occasioni la pressione, invitando il paziente a fare lo stesso anche a casa confrontando così i risultati ottenuti.

Importante sapere che non esiste l’ora “giusta” in cui rilevare la pressione e un controllo in momenti diversi della giornata risulta essere la scelta migliore.

Quali sono i sintomi e i danni da ipertensione?

L’incremento dei valori pressori non dà sempre sintomi, si tratta quindi di una condizione patologica spesso asintomatica ed è per questo motivo che viene detta il “killer silenzioso”.

I sintomi più frequenti possono essere mal di testa, capogiri, acufeni, ossia rumori percepiti in un orecchio o in entrambi ma inesistenti, ma anche sintomi più gravi, quali dolore al torace e mancanza di respiro.

L’aumento dei valori pressori è nocivo per molti organi nobili e maggiore è l’incremento o la sua durata più grave il danno che ne deriva.

Vediamo quali sono i principali bersagli:

  • Il cuore può andare incontro ad un ispessimento delle sue pareti, soprattutto a carico del Ventricolo sinistro che è la parte che svolge il maggior lavoro come pompa, inoltre, un possibile allargamento delle sue cavità, con due conseguenze fondamentali: perdita della capacità contrattile del cuore (che svolge meno bene il suo lavoro, in modo meno efficace); un aumento del rischio di andare incontro a fenomeni aritmici.
  • L’ipertensione può inoltre danneggiare i reni e il loro funzionamento e rappresenta la principale causa di malattie renali dopo il diabete mellito.
  • Un altro bersaglio nobile è rappresentato dagli occhi, la retinopatia ipertensiva rappresenta una vera e propria sofferenza della retina determinata dai valori pressori elevati.
  • Anche il cervello può subire un danno che si manifesta attraverso una ischemia transitoria e reversibile o un ictus, evento più drammatico, acuto, che spesso lascia danni permanenti con invalidità.

I sintomi di danno d’organo sono schematicamente:

  • cefalea; vertigini; visione alterata; tia; deficit motori e/o sensitivi; disfunzione cognitiva (danno a livello encefalico)
  • palpitazioni; dolore toracico; dispnea; edemi declivi, edemi che compaiono nella parte bassa del corpo (danno cardiaco)
  • sete; poliuria; nicturia; ematuria, ovvero sangue nelle urine (danno renale)
  • estremità fredde, claudicatio intermittens, ovvero un dolore alla gamba associato a problemi di deambulazione (danno vascolare arterioso periferico)

Tutto questo può essere evitato con un precoce riconoscimento della patologia ipertensiva ed un adeguato trattamento che comprende modifiche dello stile di vita ed eventuale impostazione di terapia farmacologica qualora l’aumento risulti più significativo.

Quali sono gli esami strumentali consigliati?

Una volta fatta diagnosi di ipertensione arteriosa è indicato eseguire alcuni esami che ci consentono di valutare l’eventuale presenza di “Danno d’organo”, ossia se l’incremento dei valori ha già fatto danni nei vari organi, soprattutto a carico di quelli menzionati prima.

  1. Esami ematochimici: glicemia basale, profilo lipidico completo, elettroliti plasmatici, uricemia, creatinina plasmatica, creatinina clearance, emocromo, esami urine con micro albuminuria
  2. ECG -12 derivazioni
  3. Ecocardiocolordoppler T.T.
  4. Ecocolordoppler tronchi sovraortici 
  5. Monitoraggio pressorio delle 24 ore
  6. Fundus oculi

Modifica delle abitudini di vita sbagliate e terapia

È importante sapere che la terapia dell’ipertensione arteriosa deve quindi essere stabilita non solo in base ai valori pressori ma anche in considerazione del calcolo del rischio complessivo del paziente.

Per tutti i livelli di incremento pressorio la prima cosa da fare è modificare le nostre abitudini di vita e cercare di correggere tutti i fattori di rischio cardiovascolare.

Ma quali sono nel dettaglio le abitudini sbagliate che vanno invece corrette il più velocemente possibile?

La prima attenzione è ridurre la quantità di sale assunta con la dieta ricordando che non solo si considera il sale aggiunto agli alimenti ma che vanno eliminati anche tutti gli alimenti che ne contengono grandi quantità, primi fra tutti nella nostra dieta gli insaccati e tutti i formaggi stagionati. La dose ottimale di sale quotidiana è pari 4,4 gr di sale al giorno, meno di un cucchiaino da the.

Inoltre, è necessario:

  • Ridurre il consumo di alcolici
  • Ottimizzare il peso corporeo perdendo i chili in eccesso
  • Smettere di fumare
  • Svolgere regolare e prolungata attività fisica aerobica, ad esempio camminare o andare in bicicletta per almeno 30 minuti 5-7 giorni alla settimana

Se i valori pressori sono entro i 140/90 mmHg solo in caso di cardiopatia ischemica preesistente, quindi in un paziente già colpito da malattia cardiaca, è corretto iniziare al primo riscontro pressorio una terapia farmacologica mirata.

In base alla gravità dell’incremento pressorio, per un eventuale inizio di terapia, lo specialista considererà questi parametri:

  • se l’ipertensione  è di 1 grado (140-159/90-99 mmHg) è corretto considerare da subito una terapia con farmaci solo per il paziente a rischio elevato o molto elevato e dopo aver atteso una eventuale normalizzazione pressoria per  3 – 6 mesi  dopo aver ottenuto un controllo dei fattori di rischio, come smettere di fumare, perdere peso, camminare di più.
  • se l’ipertensione arteriosa risulta invece più grave, almeno di 2°, si deve da subito intervenire farmacologicamente.

Il primo obiettivo della terapia farmacologica è ridurre i valori pressori che devono essere inferiori a 140/90 mmHg ricordando che per i pazienti più giovani, di età inferiore ai 65 anni, il target pressorio ottimale da raggiungere è più ambizioso ed è 120-129 mmhg che invece aumenta a 130-139 mmHg per i pazienti che hanno più di 65 aa.

Ricordiamo che il medico di medicina generale e il cardiologo hanno a disposizione un’ampia scelta di farmaci.

Questo significa che la cura della pressione deve “essere cucita addosso” a ciascun paziente considerando tutte le  sue caratteristiche, le sue patologie, il suo stile di vita al fine di individuare la cura ottimale.

Questo non solo ha lo scopo di ottimizzare il controllo di questa patologia ma anche di ridurre il rischio di un’eventuale gestione “fai da te” dei farmaci o peggio ancora di un auto sospensione della stessa qualora mal tollerata dal paziente.

Farmaci per l’ipertensione sono i diuretici, i beta bloccanti, i calcio antagonisti gli ace inibitori i sartani per citare quelli maggiormente utilizzati; ciascuno di loro ha le proprie caratteristiche, le proprie controindicazioni e anche possibili effetti collaterali.

Oggigiorno esistono anche numerose associazioni di farmaci che consentono una comoda riduzione del numero di pillole assunte nella giornata soprattutto in caso di terapie complesse.

Sarà quindi compito del medico impostare un adeguato trattamento che deve essere il più efficace possibile e con i minori effetti collaterali al fine di riuscire a mantenere inalterata la terapia per lunghi periodi di tempo con la raccomandazione per tutti di un periodico follow up.

Specialista in Cardiologia
Dott.ssa Daniela Maria Guiducci
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