Ipoglicemia: come trattarla nel modo giusto?

Per ipoglicemia si intende un valore di glicemia (glucosio nel sangue) inferiore a 70 mg/dl. I pazienti più a rischio sono quelli diabetici che a causa dell’insulina possono incorrere in episodi anche gravi. L’ipoglicemia può presentarsi in tre forme: lieve, moderata e grave, pertanto è importante riconoscere i segnali d’allarme per prevenire e trattare prontamente le crisi.

Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Nazarena Betella, endocrinologa presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Domodossola a Milano.

Quali sono le cause della glicemia bassa?

La prima causa di una glicemia bassa è legata all’assunzione dei farmaci per curare il diabete: i pazienti più a rischio sono infatti quelli che assumono insulina o farmaci cosiddetti ‘secretagoghi’ che fanno rilasciare insulina dalla cellula beta-pancreatica. Altre cause possono essere:

·  Tumori o altre patologie a carico di pancreas o fegato

·  Esiti di interventi chirurgici allo stomaco (dumping Syndrome)

·  Funzionale o reattiva post-prandiale

·  Esercizio fisico intenso, digiuno prolungato

·  Malattie endocrine severe con compromissione dei meccanismi controregolatori (deficit surrenalico o ipofisario)

Ipoglicemia e diabete: cosa succede?

Il diabete è il risultato finale di una compromissione dei meccanismi regolatori del metabolismo glucidico, ovvero della produzione e dello smaltimento degli zuccheri. Il principale fattore scatenante è una sovra e scorretta alimentazione che dapprima comporta un surplus di lavoro da parte della cellula beta-pancreatica, produttrice di insulina, con un maggior quantitativo di insulina immessa in circolo (iperinsulinismo) e una resistenza periferica all’azione della stessa (insulino-resistenza) indotta dallo stato infiammatorio cronico provocato dal maggior quantitativo di grasso a livello addominale (tessuto adiposo viscerale). 

In condizioni di insulino-resistenza con iperinsulinismo, l’assunzione di pasti ricchi di carboidrati semplici può scatenare una crisi ipoglicemica attraverso il rapido assorbimento degli zuccheri che raggiungono concentrazioni nel sangue eccedenti il normale set-point, promuovendo a livello pancreatico un massiccio rilascio di insulina, la quale, una volta in circolo, vinta la resistenza alla sua azione, può comportare un abbassamento sostanziale della glicemia e, quindi, ampie escursioni glicemiche.

Eventi ipoglicemici nel paziente diabetico sono invece più frequentemente imputabili all’iper-correzione di iperglicemie attraverso farmaci, quali l’insulina e agenti ‘secretagoghi’, che inducono il rilascio di insulina indipendentemente dai valori di glucosio. I livelli di glicemia abituali del paziente diabetico sono mediamente più elevati rispetto a quelli del paziente non diabetico, quindi, il paziente diabetico si abitua in un certo senso a livelli di glicemia maggiori e può sviluppare disturbi neurovegetativi tipici dell’ipoglicemia (tremori, stanchezza, sudorazione, fame, nervosismo…) già in presenza di livelli di glicemia più elevati (mediamente 70 mg/dL) rispetto agli individui non diabetici (in genere 55 mg/dL). 

Quali sono i sintomi dell’ipoglicemia?

Il percorso diagnostico è complesso per la scarsa specificità dei sintomi e la variabilità interpersonale. Anche soggetti sani, in condizioni di digiuno prolungato e in alcune situazioni fisiologiche (gravidanza, età pediatrica) in cui vedono aumentare la capacità cerebrale di utilizzare substrati alternativi al glucosio, possono raggiungere glicemie molto basse senza comparsa di sintomi. I sintomi più comuni, quando presenti, sono:

Come si trattano le diverse forme di ipoglicemia?

Il trattamento dell’ipoglicemia dipende dalla severità e dalla causa della stessa. Se il paziente è cosciente, deve ingerire un quantitativo pari a 10-20 grammi di glucosio (es. 1-2 bustine di zucchero, 1 bicchiere di bevanda zuccherata quale succo, aranciata, etc), ricontrollando i valori di glicemia tramite misurazione capillare ogni 10-15 minuti. Quando i valori di glucosio saranno in aumento e in maggior sicurezza (> 70 mg/dL) il paziente potrà assumere dei carboidrati complessi (crackers, fette biscottate, etc). Qualora il paziente fosse incosciente, se disponibile, somministrare una fiala di glucagone intramuscolo (in modo da rendere accessibili le scorte di glucosio che il nostro organismo ha storato). Quando il paziente riprende coscienza, incoraggiarlo a ingerire degli zuccheri come precedentemente spiegato; altrimenti, allertare i soccorsi in modo da poter infondere zuccheri direttamente per via endovenosa e aumentarne prontamente i livelli nel sangue.

In caso di ipoglicemie reattive, la strategia terapeutica cardine è l’approccio dietetico. Il paziente va istruito ad assumere pasti iper-frazionati (piccoli e frequenti), evitare alcolici e zuccheri semplici (bevande zuccherate, caramelle, dolciumi, pane bianco…), praticare regolare esercizio fisico e mantenere il peso forma ideale (indice di massa corporea indicativamente compreso tra 18 e 25 Kg/m2). L’obiettivo primario è quello di prolungare e appiattire l’assorbimento del glucosio assunto così da evitare picchi iperglicemici con conseguente iperinsulinismo responsabile delle ipoglicemie reattive. 

Come abbiamo detto, il primo passo deve essere quello di impostare una terapia dietetica basata su pasti nutrizionalmente bilanciati (adeguato contenuto di carboidrati, grassi, proteine e fibre). Qualora la terapia dietetica da sola non fosse sufficiente a evitare l’incorrere di eventi ipoglicemici, la terapia farmacologica con acarbosio (un inibitore dell’alfa-glucosidasi, l’enzima che digerisce lo zucchero poichè possa essere assorbito a livello intestinale) o con metformina possono essere d’aiuto. Per i casi gravi e resistenti esistono altre opzioni terapeutiche come il diazossido e gli analoghi della somatostatina, che inibiscono il rilascio di insulina, e i corticosteroidi, che contrastano l’azione dell’insulina.

Dott.ssa Nazarena Betella
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