La balbuzie, il disturbo della respirazione che rende complicati i contatti con gli altri

Il 22 ottobre ricorre la Giornata Internazionale della Consapevolezza sulla Balbuzie, appuntamento che si pone l’obiettivo di raccontare le caratteristiche e ridurre i falsi miti legati alla balbuzie, disturbo della comunicazione che riguarda milioni di persone in tutto il mondo.

Non si tratta semplicemente di avere una difficoltà nel parlare in modo fluente, la balbuzie ha molte ripercussioni psicologiche che, se non curate nei giusti tempi e con i dovuti interventi, possono contribuire a rendere più difficoltosa l’esistenza di chi ne è colpito.

“I tempi giusti” possono variare da persona a persona, ma è certo che già in età prescolare e scolare bisogna cominciare a lavorare per donare una giusta fluenza a chi mostra una difficoltà a mantenere una parlata lineare. Ne parliamo con la dottoressa Dora Siervo, psicoterapeuta specialista della cura della balbuzie in Humanitas Medical Care di Bergamo.

Dottoressa Siervo, da che cosa dipende la balbuzie?

«La balbuzie deriva da una difficoltà di respirazione che è collegata a uno stato di ansia: la persona che soffre di balbuzie fa fatica a respirare in maniera adeguata e quindi va in apnea, occlude le corde vocali e non riesce a far uscire il suono in modo fluente. Una condizione capace di generare un ulteriore aumento dell’ansia, dovuto al fatto che la persona si rende conto della difficoltà in cui si trova e prova un disagio emotivo e psicologico che diviene ancor più marcato in situazioni contraddistinte da estesa socialità, come quelle proprie dell’ambito scolastico, lavorativo, sportivo…».

Perché sulla balbuzie è importante intervenire fin dalla più tenera età?

«Perché è una condizione che può avere numerose conseguenze psicologiche sul bambino – e quindi poi sull’adulto – che ne è vittima. Un bambino di 9 anni che in ambito scolastico è disfluente, se deve parlare o leggere in pubblico è portato a pensare “devo leggere bene, altrimenti i miei compagni mi correggono e a me questo dà fastidio”. Una condizione che può generare pensieri ossessivi, ricorrenti. La grande concentrazione prestata per non sbagliare, inoltre, può generare stanchezza nel bambino, tanto da renderlo più disattento o all’apparenza, svagato».

Oltre alla stanchezza fisica, quali conseguenze di natura psicologica si possono produrre in chi capisce di non riuscire a emettere i suoni in modo fluente?

«Si generano prima un intenso senso di frustrazione e poi una crescente rabbia: queste sono le componenti che associano un po’ tutte le persone balbuzienti, qualsiasi sia la loro età. Ciò accade perché il non riuscire a pronunciare frasi senza che vi siano intoppi crea una forte difficoltà nell’instaurare una relazione con chi si ha di fronte, con la persona o le persone con cui si vorrebbe comunicare. Una condizione che genera un’altra sensazione tipica della persona balbuziente, la vergogna, che viene provata nei confronti degli altri. E qual è la conseguenza di tutto ciò? Che spesso queste persone per paura di esporsi tendono a non esprimersi, a non essere proattivi e quindi rimangono in ombra e molto spesso vengono scambiate per introverse, incapaci o, nell’ambito della scuola, didatticamente “scarse”. Salvo poi scoprire che sono spesso persone dotate, al contrario, di grandi risorse, che rimangono nascoste perché gli altri non ne vengono a conoscenza».

Le difficoltà nascono solo quando c’è presenza di altri, è corretto affermarlo?

«Sì, è corretto: quando si vuole dire una cosa a sé stessi, ad alta voce, non si genera questo tipo di problema. La fluidità della parlata si ferma proprio e solo nell’ambito di una relazione con terzi. Per questo si tende, a volte, a relazionarsi con gli altri preferibilmente con lo scritto, evitando il parlato: un comportamento, per quanto possibile, da evitare perché si tratta di una scelta destinata a peggiorare la situazione. Mi viene in mente un disegno di un ragazzino delle scuole medie che ho avuto modo di vedere di recente: c’è un volto stilizzato, il suo, con una vignetta in cui qualcuno chiede “Ciao, come stai?”. Sopra, sono riportate cinque parole: vergogna, ansia, paura, tensione, giudizio. Un disegno che nella sua semplicità rappresenta tutto quello che viene provato da una persona che soffre di balbuzie: il rapporto con gli altri, anche con coloro che si mostrano gentili, è reso complicato dalla difficoltà di esprimersi, e quindi proporsi con naturalezza, in modo fluente».

In occasione della Giornata mondiale della consapevolezza della balbuzie che cosa si può dire ai genitori che sospettano che il proprio figlio o la propria figlia soffrano di balbuzie? Qual è il momento in cui possono pensare sia il caso di rivolgersi a uno specialista?

«Per pervenire a una diagnosi di balbuzie è necessario aspettare almeno i 6 anni di vita. Ma tra i 3 e i 6 anni, nel caso in cui ci sia un sospetto, può comunque essere utile sottoporre il bambino a visite otorinolaringoiatriche ripetute negli anni, attraverso le quali sia possibile valutare se è in atto un’evoluzione o un’involuzione della problematica. Utile è anche la visita fatta dal pediatra, che conosce il bambino fin dalla nascita, e da uno specialista psicoterapeuta, che sappia valutare l’evoluzione e sappia dare indicazioni sulle modalità di respirazione da adottare, attraverso insegnamenti che, nei primi anni di età, devono essere impostati sul gioco. Con l’attività ludica è infatti possibile insegnare ai più piccoli tecniche e trucchi per respirare in modo corretto e rilassato, condizione necessaria per evitare gli stati di ansia che sono alla base della balbuzie».

Psicoterapia
Dott.ssa Siervo Dora

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