La musica come sport per il cervello

Secondo uno studio condotto in un istituto di ricerca canadese sulle neuroscienze cognitive, l’allenamento musicale nei bambini (prima dei quattordici anni e per almeno dieci anni) svilupperebbe le aree del cervello che identificano i suoni delle parole e, nell’età avanzata, migliorerebbe i processi uditivi e la comprensione delle parole, prevenendo così alcuni danni legati all’invecchiamento.

Per saperne di più, abbiamo rivolto alcune domande al professor Giuseppe Scotti, neuroradiologo in Humanitas.

Quali sono i benefici della musica a livello cerebrale?

Alcune ricerche hanno dimostrato che i bambini che studiano musica hanno un miglior rendimento scolastico e, in particolare, maggiori competenze linguistiche, capacità di lettura, attenzione selettiva per il discorso, fluenza verbale, capacità matematica e memoria.

Un test, che ha utilizzato le immagini degli elettroencefalogrammi di un campione di persone adulte (tra i 55 e i 75 anni d’età), composto per una metà da musicisti e per l’altra da non musicisti, ha dimostrato che i musicisti riescono a fornire una descrizione più accurata dei segnali sonori, riuscendo a sbrogliare le “matasse acustiche” .

“Questa è un’ulteriore conferma dei benefici della musica che può aiutare a decadere di meno”, spiega il professor Scotti. E prosegue: “Questo lavoro, condotto su musicisti, quindi su persone che hanno una certa consuetudine a rispondere a questi stimoli, dimostra che la musica preserva alcune facoltà cognitive e mantiene il cervello al meglio come strumento da utilizzare”.

Per questo motivo si insiste nel far comprendere l’importanza dell’educazione sonora nelle scuole.

La musica può rappresentare una valida terapia riabilitativa?

“Oltre che a studiarla, anche ascoltare musica produce significativi benefici per la salute mentale e fisica. Oggi, infatti, la musica non è considerata solo un semplice intrattenimento, ma viene sempre più sottolineato il suo ruolo fondamentale nelle terapie riabilitative per bambini e adulti”, conclude il professore.

 

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