Prevenzione maschile e psicologia, l’importanza di superare i tabù

Si dice in genere che l’uomo, rispetto alla donna sia meno attento alla propria salute. Si tratta, probabilmente, di una lettura un po’ superficiale della questione ma è indubbio che qualche resistenza, da parte dell’universo maschile, ci sia, in particolare per quanto riguarda la prevenzione delle patologie più strettamente di natura andrologica e urologica.

Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Iamundo De Cumis, psicanalista, esperta tra l’altro di malattie psicosomatiche e di problematiche sessuali del singolo e della coppia.

Dottoressa è vero che gli uomini tendono a evitare le visite urologiche di prevenzione?

«Sì. È un dato di fatto che i pazienti maschi hanno la tendenza a sostenere di non avere alcun problema e anche nel caso in cui ci fosse preferiscono affidarsi a strategie di autogestione arrecando così un potenziale danno non solo a sé stessi ma anche a chi sta loro vicino. Negando l’evidenza ed evitando visite specialistiche un eventuale danno organico può peggiorare e ci si ritrova a 50-60 anni con problemi che avrebbero potuto essere diagnosticati e risolti per tempo».

Perché gli uomini non si sottopongono volontariamente alle visite preventive? Che cosa li frena?

«La verità è che gli uomini temono la visita andrologica perché la identificano con la classica intrusione dell’esplorazione rettale che viene vissuta come un profanamento della propria mascolinità, dimenticandosi che questa visita è anche molto altro e che ha una valenza preziosa dal punto di vista dell’individuazione di problematiche di vario genere, tra cui quelle legate alle disfunzioni sessuali. Molti uomini sospettano di avere un problema, ma preferiscono rimandare. Spesso si sottopongono a una visita solo perché “obbligati” dalla loro compagna e può capitare che per certe situazioni sia già troppo tardi. Altri uomini evitano visite andrologiche spinti da un atteggiamento fatalista e altri ancora perché è in loro estraneo il concetto di prevenzione».

Quali sono le “problematiche maschili” più diffuse?

«Da più di dieci anni collaboro con andrologi\urologi e devo dire che ultimamente sono decisamente aumentati i casi di anogarsmia (ovvero l’incapacità di raggiungere il piacere durante un rapporto sessuale), di desiderio sessuale ipoattivo, di eiaculazione precoce, impotenza, disfunzione erettile e di difficoltà a mantenere l’erezione.

Tali problematiche possono derivare da cause imputabili a condizioni mediche o a problematiche psicologiche-emotivo-relazionali. L’iter fondamentalmente è il seguente: l’andrologo\urologo sottopone a visita il paziente e nel momento in cui non viene rilevato nessun danno organico inviato quest’ultimo dallo psicoterapeuta poiché risulta evidente che in assenza di patologia fisica il sintomo presentato sia imputale all’area psicologica».

Che cosa può esserci alla base di queste problematiche di tipo psicologico?

«Stabilito che ogni persona ha un proprio vissuto, specifiche esperienze di vita e situazioni contingenti diverse, nel rispetto dell’unicità del singolo individuo possiamo individuare diversi fattori. Alcuni tra questi sono: lo stress accumulato nella vita di tutti i giorni, oppure il fatto di essere un soggetto troppo “controllante”, che magari ha ricevuto un’educazione rigida, che anche in età ormai matura non permette di liberare la parte istintuale ma porta a razionalizzare tutto impedendo il “lasciarsi andare”. A influire può essere anche una bassa autostima».

Ci possono essere delle cause anche legate all’infanzia?

«Sì, ci possono essere tracce che conducono al periodo dell’infanzia, come detto all’educazione ricevuta, alle figure genitoriali. Per esempio la presenza di una figura paterna pressante e denigratoria, che ha influito nel momento della crescita sull’autostima della persona e che le ha impedito di sviluppare la parte maschile, istintiva, virile».

Tornando alla prevenzione, il “freno maschile” si può dunque dire sia frutto di fattori culturali?

«Sì, il fatto che in generale in passato non si sia fatto tantissimo per incentivare la prevenzione al maschile è frutto di una cultura di un certo tipo. C’è una visione tale per cui per gli uomini in “quella parte del corpo” deve essere comunque tutto perfetto, non si può pensare a un fallimento, non è nemmeno ipotizzabile avere qualche problema in quella che viene considerata, da ogni uomo “una zona sacra”. Ma purtroppo non è sempre così, la prevenzione è fondamentale, non la si può prescindere».

Il tabù riguarda anche il rapporto tra un paziente uomo e una dottoressa donna? Qual è la sua esperienza?

«Per quanto riguarda il mio ruolo di psicoanalista devo dire che questa difficoltà si presenta solamente all’inizio dell’incontro. Dopo qualche minuto di imbarazzo, la situazione si normalizza e tutti i pazienti si esprimono assolutamente liberamente. Parlano dei propri problemi senza ulteriori freni, anche perché ricordo che nella stanza di analisi la persona può esprimersi liberamente all’interno di un luogo sicuro, in assenza di giudizio e protetto da segreto professionale».

Che cosa chiede ai suoi pazienti?

«Spesso chiedo loro: “Ma perché le donne dopo le prime mestruazioni vanno subito dal ginecologo e invece voi aspettate di avere una sofferenza o un danno importante prima di rivolgervi a un andrologo?” La risposta, più spesso di quanto si pensi è: “Chi è l’andrologo?” Oppure: “Non ci avevo mai pensato”. La prevenzione è importante, molto più importante di qualsiasi tabù o fattore culturale».

Psicoterapia Psicoanalitica
Dott.ssa Alessandra Iamundo De Cumis
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