Che cos’è la sindrome dell’intestino irritabile (IBS)?
La Sindrome dell’Intestino Irritabile (nota con l’acronimo IBS, dall’inglese Irritable Bowel Syndrome) è il disturbo gastrointestinale più diffuso nella popolazione. In passato veniva chiamata impropriamente “colite spastica” o “colon irritabile”, termini oggi abbandonati poiché non si tratta di una vera infiammazione della mucosa (colite), ma di un’alterazione funzionale.
Oggi la comunità scientifica definisce l’IBS come un disturbo dell’interazione intestino-cervello: questo significa che alla base dei sintomi vi è una comunicazione alterata tra il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso enterico (il cosiddetto “secondo cervello” situato nell’intestino), che porta a un intestino ipersensibile e reattivo. La patologia ha un andamento cronico e fluttuante: periodi di benessere si alternano a fasi di riacutizzazione, spesso scatenate da eventi stressanti fisici (infezioni gastrointestinali, terapie antibiotiche) o emotivi.
Quali sono le cause della sindrome dell’intestino irritabile?
Non esiste una singola causa valida per tutti: l’IBS è una patologia multifattoriale, risultante da una complessa interazione tra diversi elementi. Da un lato vi sono fattori biologici, come alterazioni della motilità intestinale, un’ipersensibilità dei visceri (che causa una percezione amplificata del dolore), alterazioni del microbiota (disbiosi) o pregresse infezioni intestinali. Dall’altro, giocano un ruolo cruciale i fattori psico-sociali: stress, ansia e aspetti emotivi non causano il dolore in modo “immaginario”, ma attivano circuiti nervosi che rendono l’intestino biologicamente più sensibile.
Quali sono i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile?
Secondo i criteri diagnostici internazionali più recenti, il sintomo cardine è il dolore addominale ricorrente. Per parlare di IBS, il dolore deve presentarsi in media almeno 1 giorno alla settimana negli ultimi 3 mesi ed essere associato a due o più dei seguenti aspetti:
- È correlato alla defecazione (può migliorare o peggiorare dopo l’evacuazione).
- È associato a un cambiamento nella frequenza delle evacuazioni (andare in bagno troppo spesso o troppo poco).
- È associato a un cambiamento nella forma delle feci (feci liquide, dure o caprine).
Oltre al dolore e alle irregolarità dell’alvo – che permettono di classificare l’IBS nelle varianti con stitichezza prevalente, diarrea prevalente o mista – i pazienti lamentano spesso gonfiore e distensione addominale, passaggio di muco e sensazione di evacuazione incompleta.
Poiché l’IBS coinvolge meccanismi nervosi complessi, è frequente che si associ ad altri disturbi non digestivi, come emicrania, fibromialgia, stanchezza cronica, cistiti ricorrenti, disturbi del sonno, ansia e deflessione del tono dell’umore.
I sintomi dell’IBS si manifestano tipicamente durante il giorno. Se il dolore o la diarrea causano risvegli durante la notte, è fondamentale riferirlo subito al medico, in quanto potrebbe essere indicativo di altre patologie.
Come si fa la diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile?
La diagnosi di IBS non è più solo di “esclusione”, ma si basa sul riconoscimento dei sintomi tipici in assenza di segnali di allarme. Una visita gastroenterologica accurata è essenziale. Il medico valuterà la presenza di segnali di allarme (o red flags) che richiedono approfondimenti immediati, come:
- Perdita di peso non intenzionale
- Sangue nelle feci
- Anemia
- Esordio dei sintomi dopo i 50 anni
- Familiarità per tumori del colon-retto o celiachia.
In presenza di questi segnali, o in casi dubbi, verranno prescritti esami specifici (esami del sangue, calprotectina fecale, test per la celiachia, colonscopia o TAC) per escludere altre malattie organiche. In assenza di segnali di allarme, la diagnosi può essere fatta con sicurezza sulla base dei sintomi clinici.
Come si cura la sindrome dell’intestino irritabile?
La terapia si costruisce sui sintomi prevalenti del paziente, agendo su tre livelli principali.
Il primo passo riguarda lo stile di vita e l’alimentazione. Si raccomanda attività fisica regolare e una corretta idratazione. Dal punto di vista nutrizionale può rivelarsi molto efficace la dieta Low-FODMAP (a basso contenuto di zuccheri fermentabili), un protocollo dietetico che va però seguito rigorosamente sotto la guida di un nutrizionista per un periodo limitato, al fine di evitare carenze.
Per la gestione dei sintomi acuti si ricorre alla terapia farmacologica mirata: lassativi osmotici o procinetici per la stitichezza, antidiarroici per la diarrea, antispastici oppure olio di menta piperita per il controllo del dolore e del gonfiore. In alcuni casi selezionati, l’uso ciclico di antibiotici intestinali non assorbibili aiuta a riequilibrare il microbiota.
Infine, nei casi di dolore cronico o sintomi severi, il gastroenterologo può prescrivere neuromodulatori. Si tratta spesso di farmaci derivati da antidepressivi, ma utilizzati a dosaggi molto bassi per la loro capacità di ridurre l’ipersensibilità dei nervi intestinali, e non per fini psichiatrici. Parallelamente, anche il supporto psicologico (come la terapia cognitivo-comportamentale) ha dimostrato solide evidenze scientifiche nel migliorare la qualità di vita agendo sull’asse intestino-cervello.
La visita gastroenterologica consiste in una valutazione delle problematiche gastroenterologiche esistenti che possono riguardare molteplici aspetti quali malattie dell’esofago, dello stomaco, dell’intestino tenue, del colon, del retto, del pancreas, delle vie biliari.
Ultimo aggiornamento: Novembre 2025
Data online: Marzo 2017