Invecchiamento normale e patologico: quali sono le differenze?

Con la vecchiaia molte persone iniziano ad avere problemi di memoria o di concentrazione, difficoltà a ricordare nomi o eventi. Spesso è legato semplicemente all’età, ma la prima domanda che si fanno molti di loro è: “Cosa mi sta succedendo?”.

Queste persone, in realtà, si chiedono semplicemente se questa difficoltà nel ricordare le cose rientri nel normale processo di invecchiamento o sia invece il sintomo di qualche patologia importante, come la demenza.

Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Barbara Zarino, psicologa, psicoterapeuta e neuropsicologa, presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Murat a Milano.

Cosa si intende per “invecchiamento normale”?

Il termine “invecchiamento” definisce il processo attraverso il quale, con il trascorrere degli anni, si diventa anziani per effetto di una trasformazione progressiva dell’organismo. Dal punto di vista cognitivo il processo di “invecchiamento normale” produce cambiamenti nella memoria, nella concentrazione, nella capacità di apprendimento, nella capacità di occuparsi di più cose contemporaneamente, nelle capacità di linguaggio, nel tempo di risposta agli stimoli, ecc. In questa situazione, tuttavia, l’umore e il quadro della personalità, così come le funzioni cognitive sopra citate, rimangono stabili. Questi cambiamenti sono determinati da una normale e fisiologica perdita di neuroni cerebrali che avviene sia a livello globale, che a livello delle singole strutture cerebrali.

Cosa si intende per “invecchiamento patologico”?

La presenza di normali dimenticanze legate all’età (specialmente di nomi propri), la necessità di utilizzare una lista per le cose da fare o da comprare, o le difficoltà di concentrazione in un momento di stress o vulnerabilità, non determinano necessariamente la presenza di un’alterazione cognitiva.

Esiste tuttavia una condizione clinica che è possibile collocare a metà tra l’invecchiamento normale (o fisiologico) e quello patologico, nota come “Mild Cognitive Impairment” (MCI). L’MCI è un fattore di rischio importante per la demenza e per questa ragione necessita di attenzioni cliniche e monitoraggio nel tempo. I pazienti con MCI hanno difficoltà cognitive lievi (problemi di memoria, linguaggio, pensiero) ma comunque superiori rispetto ai soggetti della loro età. Ciò nonostante, queste problematiche tendono a non interferire con le loro attività di vita quotidiana, l’autonomia o le relazioni sociali. 

Il processo di “invecchiamento patologico” (identificato anche con il termine “demenza”), invece, compromette le funzioni cognitive, comportamentali, dell’umore e della personalità, determinando una significativa alterazione dello stato funzionale del paziente, con effetti sulla propria autonomia e sulle relazioni.

Le demenze sono state classificate in base a diversi fattori:

●  alla zona dell’encefalo colpita dalla neurodegenerazione, si distinguono le demenze corticali e le demenze sottocorticali;

●  alla dipendenza o meno da altre patologie, si distinguono le demenze primarie e le demenze secondarie ad altre patologie;

●  alla reversibilità o meno della malattia, si distinguono le demenze reversibili e le demenze irreversibili.

Esistono inoltre diverse forme e livelli di decadimento cognitivo. Le prime comprendono:

●  demenze vascolari (demenza multinfartuale; demenza da infarti strategici; malattia dei piccoli vasi con demenza; demenza ipossico-ischemica; demenza emorragica);

●  demenze degenerative primarie (malattia di Alzheimer; Parkinson demenza; demenza fronto-temporale; demenza di Pick; demenza con corpi di Lewy Creutzfeldt Jacob; malattie da prioni; paralisi sopranucleare progressiva; degenerazione cortico-basale; malattia di Huntington);

●  idrocefalo normoteso.

Il livello di decadimento cognitivo può essere:

●  lieve: è la fase iniziale del decadimento cognitivo. Il paziente e le persone familiari possono notare difficoltà di memoria; tuttavia, in questa fase il funzionamento del paziente può mantenersi intatto.

●  moderato: è la fase centrale e di maggiore durata del decadimento cognitivo. Il paziente richiede un livello di cura maggiore; è possibile osservare disorientamento e confusione, difficoltà di espressione dei pensieri e di svolgimento dei compiti di routine quotidiana, così come alterazioni emotive, di personalità e comportamentali.

●  grave: è la fase finale del decadimento cognitivo. Il paziente richiede assistenza quotidiana (spesso diurna e notturna) poiché perde la capacità di rispondere al suo ambiente e la consapevolezza dello stesso; le difficoltà comunicative e motorie peggiorano; possono verificarsi cambiamenti di personalità significativi.

Quali sono i sintomi da invecchiamento patologico?

I sintomi dell’invecchiamento patologico variano in base al tipo di demenza ed alla zona cerebrale colpita.

In generale i sintomi lamentati dai pazienti affetti da un “invecchiamento patologico” (o “demenza”) sono:

●  difficoltà di memoria;

●  difficoltà di orientamento (a livello spaziale, temporale e personale);

●  difficoltà di attenzione e concentrazione;

●  difficoltà di linguaggio;

●  difficoltà visuo-spaziali;

●  difficoltà di equilibrio;

●  difficoltà a prendere decisioni;

●  alterazioni dell’umore.

Poiché spesso la depressione viene accompagnata da disturbi cognitivi di attenzione e concentrazione, soprattutto negli anziani, è importante effettuare un’accurata diagnosi differenziale tra demenza e sintomi depressivi, e – in presenza di sintomi depressivi – valutare la terapia farmacologica più appropriata.

“Pseudodemenza” è, invece, il termine utilizzato per identificare la compromissione cognitiva legata alla sintomatologia depressiva, la cui gravità è tale da somigliare ad una demenza vera e propria.

Come effettuare una diagnosi di invecchiamento patologico?

Per effettuare una diagnosi di “invecchiamento patologico” (o “demenza), sono indispensabili:

●  Valutazione neurologica/geriatrica;

●  Esami di laboratorio;

●  Tecniche di neuroimmagine (Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) e Tomografia a Emissione di Positroni (PET)), che permettono di distinguere la normale atrofia cerebrale compatibile con l’età, dall’invecchiamento “patologico”, ed in alcuni casi di distinguere i diversi tipi di demenza;

●  Valutazione neuropsicologica.

Cos’è la valutazione neuropsicologica?

La valutazione neuropsicologica è un esame clinico e psicometrico, che attraverso test cognitivi validati e standardizzati, permette di descrivere il profilo delle funzioni cognitive del paziente.

I test cognitivi si utilizzano sia in contesti clinici, che di ricerca, ed offrono un quadro delle abilità cognitive del paziente nei casi di traumi, di lesioni cerebrali, e nella valutazione e studio longitudinale del decadimento cognitivo.

In ambito clinico la valutazione neuropsicologica permette di:

●  descrivere il funzionamento cognitivo del paziente (funzioni cognitive compromesse vs integre; livello della compromissione);

●  distinguere l’invecchiamento fisiologico da quello patologico;

●  effettuare una diagnosi precoce, o una diagnosi differenziale tra le tipologie di decadimento cognitivo;

●  fornire un’indicazione prognostica;

●  fornire indicazioni circa la gestione quotidiana del paziente;

●  progettare interventi riabilitativi;

●  valutare gli esiti di un intervento/terapia (controllo – follow-up)

La valutazione neuropsicologica si avvale di una vasta gamma di strumenti e permette di esplorare le funzioni cognitive dei pazienti affetti da patologie neurologiche o psichiatriche.

Esistono sia test singoli, atti a valutare la singola funzione cognitiva (es. la memoria a breve-termine verbale), che batterie standardizzate di test che permettono di valutare un numero più vasto di funzioni cognitive e comportamentali, e di correlarle con un eventuale danno cerebrale focale o diffuso.

Nei casi di “invecchiamento normale” alla valutazione neuropsicologica si osserveranno punteggi normali e/o cambiamenti fisiologici dovuti all’età che, monitorati nel tempo attraverso follow-up, non mostreranno andamenti patologici.

Nei casi di “invecchiamento patologico”, invece, alla valutazione neuropsicologica si osserveranno punteggi deficitari in alcune o tutte le funzioni cognitive indagate (a seconda del tipo e del livello di demenza). Le alterazioni osservate si discostano dai valori “di norma” e, monitorati nel tempo, mostreranno andamenti patologici e specificatamente legati alla singola categoria diagnostica. Ad esempio, alla valutazione neuropsicologica la malattia di Alzheimer si caratterizza per la prevalente compromissione ai test che indagano la memoria episodica (in particolare nelle fasi iniziali della malattia), insieme ad altre difficoltà cognitive (come ad esempio di linguaggio, visuo-spaziali, di attenzione ed esecutive).

Psicologia, Psicoterapia e Neuropsicologia
Dott.ssa Barbara Zarino
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