Videogiochi: croce e delizia in pandemia

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Letteralmente chiusi in casa e senza altro tipo di svago, bambini e adolescenti hanno trovato nei videogiochi un compagno e una valvola di sfogo. Qual è l’impatto sul loro cervello? 


TUTTO IN BREVE

Con buona pace dei genitori, spesso preda di una vera e propria tecnofobia, i videogiochi vanno ormai considerati parte integrante delle attività ludiche dei millennial. In crescita da ben prima della pandemia, con l’isolamento sociale il pubblico dei videogames ha registrato un  + 75% solamente in Italia.  

Cooperazione, confronto, pensiero strategico, lavoro di squadra e distribuzione dei compiti in base alle competenze; una lista esaustiva dei risvolti positivi portati in dote da joystick e console non è ancora stata elaborata. 

Il confine tra l’esperienza virtuosa e quella problematica, quando si parla di videogiochi, non è però netto né impossibile da oltrepassare. Il continuo rilascio di dopamina, neurotrasmettitore che ci inonda di piacere, è favorito dai ritmi spesso frenetici, dall’imprevedibilità delle avventure e dal fattore sorpresa. I videogiochi sono infatti strutturati attorno al concetto di ricompensa imprevedibile, meccanismo alla base della difficoltà ad abbandonare gioco senza aver prima raggiunto l’obiettivo (che potrebbe però arrivare in qualsiasi momento). 

Dipendenza e disturbi di ansia e depressione, oltre a difficoltà relazionali e comportamentali sono solo alcune delle ombre sullo sviluppo cognitivo dei più piccoli. Tuttavia, cercando di cogliere i “campanelli d’allarme” e adottando delle strategie per limitare il tempo passato davanti allo schermo, i genitori possono aiutare i propri figli a non venire assorbiti completamente dalla realtà virtuale. Uno dei consigli più sentiti è proprio quello di giocare con loro: insegnargli ad avere un rapporto sano con i videogiochi, specie in una fase in cui la loro corteccia prefrontale è ancora immatura (sede del controllo esecutivo, centrale nella valutazione di rischi e ricompense, nel controllo degli impulsi e nella gestione dei processi decisionali). 


Letteralmente chiusi in casa e senza altro tipo di svago, molti bambini e adolescenti hanno trovato nei videogiochi una compagnia e una valvola di sfogo durante questo periodo di restrizioni e isolamento. Se da un lato i videogiochi possono valere come intrattenimento, dispensando i genitori da inventare fantasiosi passatempi per non far annoiare i figli, le ripercussioni dei giochi virtuali sul cervello di bambini e adolescenti possono non essere del tutto positive. Dipendenza e disturbi di ansia e depressione, oltre a difficoltà relazionali e comportamentali sono solo alcuni aspetti che riguardano l’impatto dei videogiochi sullo sviluppo cognitivo dei più piccoli. Tuttavia, cercando di cogliere i “campanelli d’allarme” e adottando delle strategie per limitare il tempo passato davanti allo schermo, i genitori possono aiutare i propri figli a non venire assorbiti completamente dalla realtà virtuale. 

A chi non è mai capitato di sentirsi rivolgere la fatidica domanda: “posso giocare un po’ ai videogiochi?”. 

Gran parte del gioco dei bambini e dei ragazzi del XXI secolo è sullo schermo ed è naturale chiedersi se e come i videogiochi influiscono sulla loro crescita.

Negli ultimi anni il fenomeno si è intensificato di per sé, ma l’isolamento sociale e il lockdown, la riduzione degli impegni esterni all’ambiente domestico, la sospensione delle lezioni a scuola a causa della pandemia in corso hanno reso i videogiochi non solo un passatempo, ma un vero e proprio rifugio per molti bambini e adolescenti. Così, molti genitori hanno visto i figli venire sempre più assorbiti da una battle royale di Fornite o dai combattimenti di Minecraft, dalle sfide calcistiche di Fifa 20 o dalle prove di Super Mario per i più piccoli. E attirare la loro attenzione per farli uscire dalla realtà virtuale è diventato sempre più difficile, specie considerando che le alternative di svago da offrire loro erano veramente limitate. 

Sarebbe del 75% l’aumento dell’utilizzo dei giochi online dall’inizio della quarantena (Pantling: 2020), con solo in Italia un incremento del 70% del traffico internet dovuto al gioco Fortnite (Lepido e Rolander: 2020). Non sorprende quindi che i genitori abbiano sviluppato una sorta di tecnofobia, ovvero il timore che la tecnologia e la realtà virtuale facciano perdere ai bambini e adolescenti il contatto con la vita reale, che danneggino il loro sviluppo cognitivo e abbiano delle ripercussioni negative sul modo di comunicare e socializzare. 

Ad ogni modo, nonostante i videogiochi non possano sostituire un’adeguata attività fisica e i giochi “in presenza”, vanno comunque considerati una parte delle attività ludiche dei millennial. Inoltre, che ci piaccia o no, anche i giochi digitali sviluppano la cooperazione, il confronto con i compagni, il lavoro di squadra, il pensiero strategico e molto altro.

Anche i videogiochi creano dipendenza

Le preoccupazioni dei genitori non sono del tutto ingiustificate. Infatti, i risultati di molte ricerche iniziate negli anni ‘90 rivelano che i videogiochi creano dipendenza. In particolare, uno studio del 1998 pubblicato sulla rivista Nature ha dimostrato che i videogiochi stimolano il rilascio da parte del cervello di dopamina, un neurotrasmettitore che ci inonda di piacere. Quest’ultimo deriva dalla gratificazione immediata, dal ritmo veloce, dell’imprevedibilità e dal fattore sorpresa che abbondano nei videogiochi. Infatti, basta pensare che con un semplice tocco si possono creare o distruggere infinite possibilità, il che genera una sensazione positiva a cui il bambino non riesce a rinunciare. Per questo, cercherà di mantenerla il più a lungo possibile e vorrà riprovarla in futuro. Questo fa sì che non riesca a staccarsi dallo schermo, a meno che non ci sia un’attività altrettanto piacevole ad attenderlo. Inoltre, bisogna ricordare che i videogiochi sono progettati proprio per tenere “attaccate” le persone. L’obiettivo viene raggiunto con la tecnica della ricompensa imprevedibile: il fatto di sapere che si raggiungerà una gratificazione, un premio, si completerà un livello ma senza sapere esattamente in che momento, crea eccitazione e rende difficile abbandonare il gioco senza aver raggiunto l’obiettivo. Come afferma David Greenfield, PhD, fondatore del Center for Internet and Technology Addiction e professore presso la University of Connecticut School of Medicine, sarebbe “un po’ come giocare a una slot-machine”. 

Videogiochi, attenzione anche a ansia e depressione

Nonostante siano sempre più numerose le evidenze sull’impatto cognitivo e comportamentale, il concetto di dipendenza da videogiochi non è facile da definire. Certo è che nei bambini e nei ragazzi, alcune condizioni come i disturbi d’ansia o i sintomi depressivi, favoriscono il rifugiarsi  nella realtà virtuale come meccanismo di difesa. Numerose ricerche svolte negli Stati Uniti dimostrano che la maggior parte degli adolescenti che gioca a lungo ai videogiochi è più soggetta al disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Le valutazioni degli insegnanti hanno anche dimostrato che le prestazioni di questi  studenti sono scarse a causa della mancanza di attenzione alle istruzioni in classe (National Center for Children Exposed to Violence, 2006).

La dipendenza eccessiva da videogiochi, online e offline, è stata inclusa nella più recente versione  del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) dell’American Psychiatric Association,  come “internet Gaming Disorder”, rientrando nelle condizioni che necessitano di ulteriori studi, insieme al disturbo da uso di caffeina e altre condizioni.

Il DSM parla di Gaming Disorder come di “una incapacità di controllo sull’attività del gioco, una priorità aumentata rispetto ad altre occupazioni, e la continuazione o l’escalation del gioco nonostante il verificarsi di conseguenze negative“. È doveroso comunque precisare che la frequenza e la durata del gioco è indice di patologia. 

Le implicazioni neuropsicologiche

Già nei primi anni ‘90 i ricercatori avevano avvertito che i videogiochi stimolano positivamente solo alcune regioni del nostro cervello che controllano in particolare la visione e il movimento, mentre altre parti della mente, quelle responsabili del comportamento, delle emozioni e dell’apprendimento, potevano in qualche modo risentirne.

Due recenti studi hanno tentato di individuare gli effetti dell’utilizzo di diverse tipologie di giochi sulle funzioni esecutive, quell’insieme di abilità cognitive che aiutano la regolazione e l’adattamento  (Ferguson, 2007; Powers et al., 2013). I dati raccolti sono controversi rispetto alla loro capacità di modificare le abilità di multitasking o l’intelligenza mentre sono più significative le evidenze di miglioramenti nelle abilità visuo-attentive

Altre ricerche hanno invece mostrato una minore attività cerebrale dopo l’esposizione prolungata ai videogiochi violenti rispetto all’attività cerebrale di chi non aveva giocato, soprattutto nel controllo del comportamento: basterebbero solo 30 minuti di videogiochi violenti per aumentare l’attività nelle regioni cerebrali associate all’eccitazione, all’ansia e alla regolazione emotiva, diminuendo contemporaneamente l’attività nei lobi frontali, deputati alla regolazione delle emozioni e al controllo esecutivo.

Come già detto, in giovane età la presenza di lobi frontali ancora immaturi li porta a non riuscire a soppesare le conseguenze negative e frenare i comportamenti potenzialmente dannosi come l’eccesso nell’uso dei videogiochi. 

Giocare troppo ai videogiochi toglie tempo ad altre attività come fare i compiti, leggere, fare sport e interagire con la famiglia e gli amici. 

Ci possono essere anche effetti negativi sulla salute di alcuni bambini, tra cui l’obesità, le convulsioni indotte dai videogiochi e i disturbi posturali, muscolari e scheletrici, come la tendinite, la compressione dei nervi, la sindrome del tunnel carpale.

L’uso prolungato di schermi video può portare una minore qualità del sonno e disturbi della vista, anche nei più piccoli (ad esempio durante l’esposizione prolungata davanti ad uno schermo, si sbatte meno frequentemente le palpebre e questo può portare a  secchezza e bruciore agli occhi).

Adulti e bambini: (video)giocano allo stesso modo?

I videogames sono una “calamita” potente per un adulto, figuriamoci per il cervello di un adolescente in via di sviluppo! 

Gli adulti però, a differenza di bambini e teenagers, riescono ad avere un maggiore controllo e ad abbandonare il gioco per dedicarsi ad altro. Nei giovani, invece, la corteccia prefrontale è ancora immatura ed è proprio lì che risiede il controllo esecutivo, essenziale  per valutare rischi e ricompense, per controllare gli impulsi, per i processi decisionali. Alla loro età è faticoso concentrarsi su obiettivi a lungo termine (come la verifica di matematica della settimana seguente), mentre risulta più facile lasciarsi coinvolgere da giochi con ricompense immediate (Tom A. Hummer, PhD della University School of Medicine di Indianapolis). 

Come si riconosce se c’è un problema?

Può esserci dipendenza se la persona: 

  • Passa troppo tempo al computer 
  • Si mette sulla difensiva quando ci si confronta con il gioco
  • Perde la cognizione del tempo
  • Preferisce passare più tempo con il computer che con gli amici o la famiglia
  • Perde interesse per l’attività sportiva o per hobby che prima erano importanti
  • Si isola socialmente, mostra irritabilità e cambiamento di umore
  • Si crea una nuova vita con amici online
  • Trascura la scuola e lo studio
  • Spende soldi senza apparenti giustificazioni 
  • Tenta di nascondere l’attività di gioco

Il cervello impara dai videogiochi: aspetti positivi (o quasi)

Giocare ai videogiochi può contribuire ad aumentare la fiducia in se stessi, si avanza di livello fino a costruire maggiori abilità e questo fa acquisire maggiore sicurezza, predispone ad affrontare anche le sfide più difficili poiché il costo del fallimento è inferiore rispetto ad una sfida reale.

Si prendono più rischi e si esplora di più… sarebbe fantastico trasferire poi questo atteggiamento nella vita reale! 

Inoltre, i giochi che coinvolgono più giocatori incoraggiano il bambino a lavorare cooperando in rete per raggiungere i suoi obiettivi. Si impara ad ascoltare le idee degli altri, a formulare piani in collaborazione e a distribuire i compiti in base alle competenze. 

Alcuni considerano i  videogiochi violenti come una valvola di sfogo, una possibilità per il rilascio di aggressività repressa e frustrazione; altri ancora altri ancora ritengono che, attivando i centri di ricompensa, rendano il cervello più recettivo al cambiamento (C.Shawn Green Ph D. Università del Wisconsin-Madison).

Gli studi dimostrano che giocare videogiochi, soprattutto gli “sparatutto” o i giochi di azione  (Action Games AVG) dove bisogna superare i livelli, migliora le capacità attentivo/visive (come trovare più oggetti in un ambiente e la capacità di rotazione mentale degli oggetti), passare da un compito all’altro  e prendere decisioni che hanno un impatto immediato, la flessibilità cognitiva nella scelta delle strategie, man mano che arrivano nuovi input. 

Tutte abilità molto utili, ma – se esercitate eccessivamente – possono diventare problemi. Elaborare simultaneamente una grande quantità di informazioni, ad esempio, può ridurre la capacità di riflessione e di concentrazione in ambienti diversi da quelli virtuali, come la classe. 

Molte aziende hanno cercato di creare giochi a scopo riabilitativo per bambini con disturbo da deficit di attenzione e iperattività ADHD ma senza un grande successo perché, nel videogioco, il cervello viene attratto e inondato nei sensi da stimoli visivi, sfide motorie e ricompense immediate. Tuttavia, questo si limita all’ambito virtuale e l’ambiente reale è qualcosa di completamente diverso, sicuramente anche meno attraente. 

Consigli

Proibire il gioco è inutile, anzi si perde ogni possibilità di controllare e influenzare il comportamento dei propri figli. Invece può servire:

  • giocare con loro e insegnargli ad avere un rapporto sano con i videogiochi
  • assicurarsi sempre che possano trarre vantaggio da esperienze piacevoli al di fuori dello schermo e lavorare con loro per trasferire  le competenze messe in campo nei giochi in capacità nel mondo reale
  • trovare un equilibrio tra tempi e modi di utilizzo ed essere consapevoli dei rischi che comporta l’uso eccessivo dei videogiochi
  • stabilire insieme ai bambini delle regole da rispettare, ad esempio avvisarli pochi minuti prima dello scadere del tempo per il gioco, in modo che si possano regolare
  • trovare i giochi che li sollecitano a risolvere problemi, a pensare e ad imparare dei propri errori, assicurandosi sempre che siano adatti alla loro età
  • giocare insieme a loro, non è poi così difficile;  mentre giocate parlate degli elementi del gioco, portate la loro attenzione ad esempio alla musica, facendo notare che qualcuno l’ha composta, suonata e poi scelta per quell’ambiente virtuale. Parlate insieme della storia, dell’autore, della qualità dei comandi del gioco. Ogni domanda può essere un’opportunità  per far comprendere come è stato costruito quel videogioco. I ragazzi devono sviluppare un pensiero critico anche rispetto alle esperienze digitali, imparare a trattarle come cose da analizzare, interpretare e valutare.

Gli insegnanti possono avere un ruolo in tutto questo e inserire tra gli argomenti da trattare in classe, l’educazione digitale, per riflettere insieme ai loro alunni in  maniera critica, sulle immagini, le storie e le tecnologie. È importante parlare con loro di  privacy digitale, perché devono diventare consapevoli che ogni loro interazione sul web lascia una traccia e l’impronta digitale può rimanere a lungo. Hanno bisogno di capire quello che va e non va condiviso e pubblicato.

C’è il tempo del pensiero e del rilassamento, non solo del gioco. 

Anche se i ragazzi considerano l’uso dei videogiochi come una forma di rilassamento non possiamo considerarlo tale, in quanto la maggior parte dei giochi non porta tranquillità ma ad uno stato di allerta continua  e di scarica adrenalinica. 

Sarebbe utile invece considerare, per un maggiore benessere, la mindfulness, che fa vivere il tempo presente con maggiore consapevolezza, in modo non giudicante e non richiedente, dove tutti i pensieri e le sensazioni sono riconosciuti e accettati. E’ una pratica di crescente interesse che ha in sé enormi potenzialità anche per alleviare le sofferenze emotive  che i ragazzi oggi stanno vivendo. 

Per impegnare il tempo diversamente una valida alternativa ai videogiochi, sono le tecniche di rilassamento corporeo che abbiamo attivato su un gruppo di bambini e preadolescenti con incontri in presenza e da remoto, durante il lockdown. 

Attraverso la respirazione e i movimenti del corpo si sviluppa la consapevolezza dell’importanza del tempo presente ed un’attenzione più centrata nel qui e ora, come  valida alternativa al gioco informatizzato.

Dott.ssa Marcella Mauro, psicologa 

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Humanitas Medical Care Via Domodossola 9/A, Milano

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