Dentro l’empatia

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Cos’è l’empatia? Tutti ne abbiamo sentito parlare, ma sappiamo qual è la sua vera natura? E’ una competenza innata o si può allenare? 


TUTTO IN BREVE

Sul concetto di empatia tanto è stato detto e altrettanto è stato scritto, a tal punto che i confini del termine appaiono quasi sfumati. La parola ha le sue radici nel greco antico (da “en-pathos”, letteralmente ‘sentire dentro’), nel linguaggio comune denota la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” sino a provare le sue stesse emozioni e stati d’animo. 

In psicologia, l’empatia è una competenza emotiva che, tramite l’osservazione o l’immaginazione di stati affettivi altrui, induce stati condivisi con l’osservatore. Questa condivisione permette infatti una forma diretta di comprensione, definita per l’appunto “empatica”. 

Comporta due attivazioni differenti: emotiva (avvertire la tristezza o il disagio altrui) e cognitiva (comprendere i perché di quella tristezza o disagio). La carenza di una o di entrambe caratterizza alcune forme di psicopatia: nella schizofrenia, ad esempio, viene a mancare la componente affettiva dell’empatia; in presenza di disturbi della sfera autistica o tratti borderline di personalità si riscontra invece un deficit cognitivo.  

Per spiegare l’empatia, le teorie dell’apprendimento sociale sono state il primo approccio. Lo spartiacque nello studio scientifico del fenomeno è coinciso con la scoperta dei neuroni specchio: una classe di neuroni motori che si attivano sia durante l’esecuzione di un compito (o un’azione), sia alla vista dello stesso compito svolto o subito da un altro individuo. Questo stesso meccanismo interessa anche le emozioni ed è alla base dell’empatia. Nonostante questo la componente neuronale, pur presente in ognuno di noi, non è tutto. Lo sviluppo dell’empatia dipende da un processo in cui concorrono una serie di fattori bio-psico-sociali. Non è quindi una competenza innata, bensì allenabile.


Nel linguaggio comune l’empatia è considerata la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, immedesimandosi a tal punto da provare le stesse emozioni e stati d’animo. Il termine, che ha le sue radici nel greco antico (da “en-pathos”, letteralmente ‘sentire dentro’), ha sempre influenzato ed affascinato il pensiero comune. Sull’empatia tanto è stato detto e altrettanto è stato scritto, a tal punto che i confini del suo significato si sono progressivamente allargati e forse sfumati. 

Dal punto di vista psicologico, l’empatia può essere descritta come un costrutto multidimensionale, un processo che si verifica quando l’osservazione o l’immaginazione di stati affettivi altrui induce stati condivisi con l’osservatore. Questa condivisione permette infatti una forma diretta di comprensione, definita per l’appunto “empatica”. 

Comporta due attivazioni di tipo differente: da un lato, una attivazione di tipo emotivo, ossia riuscire ad avvertire la tristezza, il fastidio o la difficoltà dell’altro. Dall’altro lato, l’attivazione cognitiva che consente di comprendere i perché degli stati emotivi dell’altro. Una competenza emotiva, quindi, che permette di sintonizzarsi sulla frequenza dell’altro; coinvolge le aree della condivisione affettiva, autoconsapevolezza, e la capacità di differenziarsi dagli altri. 

L’empatia non è solo il frutto di un apprendimento sociale  

Ripercorrendo la storia della psicologia, le teorie dell’apprendimento sociale sono state il primo approccio all’empatia. La componente di apprendimento sociale è certamente importante, ma non l’unica: solo a partire dagli ‘80 e ‘90 sono stati condotti una serie di studi che hanno evidenziato come l’empatia sia sostenuta da una particolare classe di neuroni, i neuroni specchio

Questi neuroni motori, che ora sappiamo essere localizzati nella zona fronto-parietale dell’encefalo, si attivano sia durante l’esecuzione di un compito (o un’azione), sia alla vista dello stesso compito svolto o subito da un altro individuo. 

Lo stesso processo si riscontra anche con le emozioni. A livello neurobiologico, i neuroni specchio si attivano sia nella persona che prova un’emozione, sia in chi gli è accanto. Non solo osservare, ma persino immaginare l’altro in un determinato stato emotivo attiva nell’osservatore il medesimo correlato neurale, normalmente coinvolto nell’esperienza in prima persona delle emozioni stesse. 

Tutti gli esseri umani hanno la medesima capacità di essere empatici? 

La componente neuronale alla base dell’empatia è presente in ogni individuo, ma lo sviluppo dell’empatia dipende da un processo di apprendimento che può avvenire in maniera anche profondamente diversa. Allo sviluppo della competenza empatica concorrono una serie di fattori bio-psico-sociali. Uno di questi è dato dalle relazioni che si instaurano durante la prima infanzia, poi sviluppate nel corso della vita. Le interazioni primarie assumono un ruolo fondamentale, su tutte il rapporto mamma-bambino.

Esistono persone non empatiche? 

La mancanza di empatia caratterizza ad esempio le forme di psicopatia contraddistinte da un deficit della componente empatica. All’interno della sfera dei disturbi psicologici e psicopatologici possiamo riscontrare delle mancanze nello sviluppo di questa competenza. Da un lato, può venire meno la componente affettiva. Dall’altro, quella più propriamente cognitiva

Ad esempio, nei disturbi gravi come la schizofrenia si verifica una mancanza di empatia affettiva: a livello cognitivo il paziente comprende lo stato d’animo e la situazione dell’altro, ma non riesce ad attivarsi, è ingabbiato e non ha possibilità di manifestare ed accogliere i sentimenti dell’altro. Al contrario, una carenza cognitiva si verifica in caso di disturbi della sfera autistica o tratti borderline di personalità: chi ne soffre percepisce ciò che arriva dall’altro, ma non lo riesce a decodificare. 

L’empatia si può allenare? 

Fortunatamente, tutto ciò che ci riguarda è allenabile. L’empatia viene definita una soft skill, richiesta anche nel mondo del lavoro per migliorare le performance lavorative e le capacità relazionali. Un processo di allenamento prevede percorsi di alfabetizzazione emotiva, importanti sin dall’età infantile. Comprendono giochi – come quelli di role-playing – che stimolano lo sviluppo di empatia, oppure discussioni relative a fatti che accadono, in modo da far circolare il loro sentire. Da un lato è quindi possibile comprendere la situazione, dall’altro si è incoraggiati a mettere in gioco i propri sentimenti. 

Qualsiasi rapporto terapeutico, in definitiva, dovrebbe essere in grado di aumentare la competenza empatica attraverso la sperimentazione diretta di questo processo. Il terapeuta – mettendola in pratica durante la sua attività – riesce a sintonizzarsi con il mondo interiore del paziente. Il paziente invece, sentendosi compreso e accolto, riesce ad affidarsi nel percorso di cura e cambiamento.

L’uso dei media e dei social è aumentato durante la pandemia Covid-19. Quale impatto sull’empatia? 

Le ultime ricerche hanno dimostrato – contrariamente a quanto si potesse pensare – come l’utilizzo dei social e dei media in generale sia correlato ad un buon livello di capacità empatica, perlomeno in chi aveva già sviluppato questa competenza emotiva. 

Il contraccolpo che questi ultimi hanno verosimilmente dovuto sperimentare è un maggior livello di ansia, generato dal coinvolgimento emotivo più elevato determinato dalla situazione pandemica. L’uso dei media e il continuo bombardamento informativo non hanno certamente giovato alle persone molto empatiche, perché talvolta può risultare difficile differenziarsi dall’altro e rientrare nei propri panni, interiorizzando eccessivamente la negatività che la situazione porta necessariamente con sé.

Dott.ssa Pamela Franchi, psicologa 

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